Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film
I dolori del passato che impediscono di renderci conto di quelli che sono i sentimenti genuini e necessari. Ozpetek torna in patria, ma si perde in sussurri sentenziosi e scorci da cartolina che travisano la sostanza e la materia concreta, impantanandosi in un melò bolso e senza verve che rimane in superficie, affogando la sostanza nella forma.
Orhan Sahin è uno scrittore turco un tempo molto noto grazie al successo del suo romanzo d'esordio. Successivamente, a causa di una tremenda disgrazia occorsa in famiglia, l'uomo, distrutto, ha deciso di trasferirsi a Londra. Ora lo ritroviamo si nuovo ad Istanbul, tornato in patria per occuparsi del lancio del romanzo con cui un celebre regista cinematografico si accinge a esordire in tale ambito.
Anziché sistemarsi in albergo, lo scrittore viene persuaso a fermarsi presso la grande casa rossa posta sulle rive del Bosforo, di proprietà della un tempo agiata famiglia del cineasta.
Una comunità di tipo matriarcale, o comunque dominata dalla presenza di donne dalla forte personalità.
Quando il regista di colpo scompare, prende il suo posto nell'attenzione del turbato scrittore una avvenente restauratrice vicina di casa della famiglia ospitante, di cui il nostro si innamora poco per volta, affascinato dai modi delicati e solenni della aggraziata bella donna, peraltro felicemente sposata.
Appare poi l'amante tossico, pieno di rancori mai sopiti, del regista scomparso, mentre i familiari si recano a riconoscere il corpo di un annegato in mare, sperando che non si tratti del familiare irrintracciabile.
"Non si può affrontare il presente se si resta ancorati al passato" sentenzia Ozpetek in questa sua ultima, manierata e verbosa seppur ambiziosa fatica, liberamente tratta da un proprio romanzo: e a tal fine ci rivela la tragedia che ha sfasciato la famiglia del nostro scrittore, portandolo ad un auto-esilio.
Girato tecnicamente piuttosto bene, Rosso Istanbul si perde in scorci da cartolina più degni di un turista che di un turco in grado di descriverci le meraviglie esclusive del proprio territorio (e Ozpetek pare molto più lucido nel descrivere la romanità solare dei suoi primi riusciti film, che le pieghe meno evidenti e scontate, esteriori, della meravigliosa città natia); e si distrae e perde in sguardi liquidi, languide espressioni spesso poco consone alla situazione, tempi morti infiniti, contornati da dialoghi affannati di protagonisti affascinanti ma manichei, che si crogiolano su terrazzi esclusivi con vista sull'infinito o tra arredi glamour di case da rivista che paiono musei: buon per loro, ci mancherebbe!!
Si oltrepassa l'imbarazzo e spesso anche il ridicolo, e la vicenda, che tenta la via del giallo e poi quella della doppia storia d'amore impossibile (tra lo scomparso ed il suo ex, oltre che quella del protagonista con la bella restauratrice sposata), si affloscia in un pasticcio irrisolto e sentenzioso dove tutto - dagli sfondi seducenti di tramonti senza fine, agli interni arredati da rivista patinata, al rosso infuocato sparso ovunque, dallo smalto delle unghie alla facciata sadica della magione a ridosso del canale - appare forzato e di maniera: prima tra tutte la recitazione tutta sussurri e sentenze melo', sospensioni cruciali e pensierose di interpreti dagli occhi perennemente sgranati e dagli atteggiamenti innaturali che sfiorano il ridicolo.
Spiace constatarlo ma Ozpetek, regista dotato di stile e spesso profondo, da me apprezzato molte volte in precedenza, tornando in patria, sembra stavolta perdersi in un susseguirsi manierato di sussurri sentenziosi e spesso tediosi, dove il rigore e la perfezione di molte inquadrature serve solo a sottolineare come il cinesta pare essersi smarrito nella forma, che annienta la sostanza e la concretezza dei sentimenti veri e puri. Peccato, perché le buone intenzioni e la lodevole ambizione di uscire da binari sin troppo collaudati, ci sono di sicuro.
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