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Rosso Istanbul

Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film

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La recensione su Rosso Istanbul

di MarioC
4 stelle

Si è sempre di fronte a un dilemma, con i film di Ozpetek: tentare l’approccio razionale ovvero abbandonarsi al flusso delle immagini, lasciarsi trasportare in quel territorio fatto di vuoto sfarzoso, accucciarsi al tepore delle intenzioni registiche. Questa ultima forma di visione ha dato i suoi frutti in passato, là dove una parvenza di storia era possibile immaginare e (ri)costruire, là dove la indubbia perizia calligrafica dell’autore scaraventava lo spettatore quasi inconsapevole in un mondo di emozioni urlate, palesate, comunque forti e tenaci. Ma negli ultimi tempi Ozpetek si replica e si incarta: forte di luoghi comuni che in passato fu capace di sbozzare in buoni film, orgoglioso nell’ammantare di sentimentalismo soprattutto visivo storie alla fine poco interessanti (in quanto replicanti all’infinito gli stilemi amore/perdita/identità/diversità), il regista turco pare già tristemente diventato la maniera di se stesso, un Avati con più ambizioni internazionali, meno ombelicale ma non per questo più risoluto nel tirare le fila di una storia e soprattutto nel garantirne un dipanarsi coerente e realmente appassionante.

 

 

In Rosso Istanbul l’occasione era ghiotta: lo sfondo di una città tra le più belle al mondo (sicuramente, a parere di chi scrive, la più affascinante, contraddittoria, il noto crogiuolo di razze, visioni, modi di vita, la sospensione atemporale tra mondi e continenti diversi) a fare da tappeto visivo ad una storia di perdita e riconquista di sé, quindi di finale riabilitazione della memoria, superamento di traumi, risistemazione del passato nelle teche che devono contenerlo: ciò che siamo stati, ciò che abbiamo sofferto e patito sono niente di più che una forma di asmatico viatico per il futuro. Chi guarda troppo al passato rischia di non vedere il presente: frase banale e aforisticamente inutile come quella di un Bacio Perugina, eppure il vero senso del film, su cui Ozpetek avrebbe dovuto costruire meglio l’impianto dei suoi assunti, invece di darsi ad agnizioni telefonate ed ellissi in parte oscure, invece di cercare allo sfinimento l’espressionismo negli sguardi e nei sorrisi mancati o stirati, nelle passioni impossibili, addirittura nella dichiarazione d’amore resa al marito dell’oggetto del desiderio. Il tutto su sfondo colorato, come da titolo: l’inebriante rosso delle case sul Bosforo, uno smalto ad abbellire mani già pronte all’innamoramento altrui, vestiti, accessori, interni di una Turchia odierna, mai così in bilico tra esigenze ed aneliti di modernità e spinte centripete che la conducono nel fuoco di un affascinante ma difficile passato.

 

Un libro da farsi e da concludere ovvero unico successo di una vita perduta (diremmo quasi che il protagonista sia una sorta di asciutto Jep Gambardella più consciamente triste) , scrittori, l’orientamento sessuale (immancabile e, a questo punto diciamolo, un po’ retorica scelta di campo del regista), varia umanità (cattivi in preda a fantasmi interiori non manovrabili, la bellezza secca ed avvolgente di una donna che appare come ancora di non richiesta salvezza), un finale che appiana ogni cosa, la parifica nel nome della vita che continua. Le immancabili tavolate, i deschi percorsi dalla telecamera che avvolge, il pasto come occasione di rara socialità, di riso, di progressiva scoperta di sé e del mondo circostante. La querula icasticità dell’icona Sierra Yilmaz, che si dà al consueto motteggio causticamente molesto. Un pastrocchio, in puro stile Ozpetek. E allora prendere o lasciare, come da aporia iniziale: rifiutare il piccolo mondo con la puzza sotto al naso che il regista turco negli ultimi tempi predilige, pur nascondendosi dietro alll’amore in tutte le sue forme e declinazioni, dando anzi all’amore la patente di reale personaggio centrale delle sue opere; oppure abbandonarsi all’innegabile fascino visivo che hanno i suoi onanismi mentali. Perché Ozpetek ha uno stile, bisogna ammettere. Sa girare i film, fa rendere al meglio gli attori. Inconsistenza sostanziale della mescolanza delle parole versus scorci, squarci di bellezza di interni/esterni. A voi la scelta.

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