Regia di Richard Attenborough vedi scheda film
Come scritto da un critico americano con sarcasmo (e anche con un pizzico di snobismo) “soltanto gli inglesi possono produrre un film bellico ad altissimo budget per celebrare una sconfitta”.
E pensare che Zulu Dawn sarebbe arrivato soltanto un paio d’anni dopo..
Scritto da William Goldman adattando il saggio storico di Cornelius Ryan, già autore de Il Giorno più lungo sull’invasione alleata della Normandia del‘44 (da cui fu tratta la pellicola di Darryl F. Zanucks del 1962), e prodotto da Joseph E. Levine & Richard P. Levine con un budget di circa 25 milioni di dollari per la regia dell’inglesissimo Richard Attenborough, regista già di La grande fuga (1963), Il volo della Fenice (1965), Quelli della San Pablo (1966) o Il favoloso Dottor Dolittle (1967) ma presumibilmente più noto ai più per aver interpretato il miliardario John Hammond in Jurassic Park di Steven Spielberg.
Evidentissimo poi il richiamo al modello di riferimento, proprio quel Il giorno più lungo del’62, e sulla falsariga di quella pellicola si focalizza sulla sciagurata Operazione Market Garden quando nel Settembre 1944, tre mesi dopo lo sbarco in Normandia, lo Stato Maggiore Alleato su diretta pressione di Wiston Churchill e del governo britannico diede il via al piano del Gen. Montgomery allo scopo di accelerare la fine del conflitto attraverso la conquista, grazie all’impiego contemporaneo di mezzi corazzati e di truppe aviotrasportate inglesi, americane e polacche, di diversi ponti nell’Olanda occupata in modo da ottenere (e mantenere) un passaggio diretto (e veloce) nel cuore della Germania Nazista di Hitler.
Cast altisonante e numerosissimo (Sean Connery, Michael Caine, Dirk Bogart, Ryan O’Neal, Anthony Hopkins, James Caan, Edward Fox, Robert Redford, Lawrence Olivier, Maxmillian Schell, Elliot Gould, Liv Ullman, Hardy Kruger e tanti altri), non sempre sfruttato a dovere, e narrativamente costruito su più avvenimenti in paralleli, A bridge too far (titolo originale) é un filmone (d’epoca) ma non proprio un grandissimo film.
E’ un film invece decisamente massiccio, informe o anche pedante, a volte, ma anche sorprendentemente emotivo, confuso e vivido a sprazzi ed é molto, molto lungo ma, nonostante tutto questo, rimane comunque un fulgido esempio di come si faceva una volta (e in epoca predigitale) un colossal bellico: con un enorme dispiego di mezzi e comparse. E un sacco di soldi.
Attenborough realizza così una pellicola tecnicamente curatissima, indubbiamente spettacolare e in cui non mancavano sequenze anche truculenti o violente, ma a cui manca una dimensione veramente epica o la capacità di allentare una tensione drammatica, quasi plumbea, che, trattandosi comunque del resoconto di una disfatta, permea il film fin dalle primissime immagini.
Sceglie anche di adottare un approccio cronistico e neutrale, non lesinando anche critiche a Montgomery, colpevole di aver insistito per motivi più di ego per un’operazione fin troppo ambiziosa e che presentava diversi punti critici e/o lacune fin dal suo concepimento.
Per avere successo tutto -ma proprio tutto- doveva andare miracolosamente bene.
Tutto -o quasi tutto- andò maledettamente male.
Quello in cui la pellicola riesce davvero é un punto di vista molto storiografico, ovvero riescono fin dall’inizio a esporre in modo chiaro e ordinato cosa fosse davvero l’Operazione Market Garden e in seguito a dare un’efficace disamina di cosa non ha funzionato e (soprattutto) perché, anticipato anche da dubbi e incertezze dei suoi stessi protagonisti sull’effettiva riuscita di una simile operazione.
Il problema é che il materiale a disposizione é davvero enorme, troppo per riuscire a svilupparlo in una sola pellicola, a dimostrazione che il solo dispiego di mezzi e di uomini, da soli, non sono garanzia di una assoluta verosimiglianza in mancanza di una sceneggiatura veramente valida.
La presenza di un cast stellare poi non ne assicura del tutto la riuscita, molti risultano sprecati in parte poco rilevanti (anche se la cosa concettualmente ha un suo perché, dando grazie alla loro presenza sostanza e rilievo a eventi magari secondari ma non per questo meno meritevoli di attenzione) o la caratterizzazione psicologica dei personaggi risultano quasi sempre approssimativa anche per la massiccia successione di eventi e situazioni che affollano continuamente la pellicola
Nonostante un’accoglienza critica piuttosto tiepida quando non ostracizzante, dettata anche da uno stampo troppo classico e (ormai) fuori moda (imperava ormai la New Hollywood e al cinema, in quello stesso anno, usciva un certo Guerre Stellari) il film riesce comunque a ottenere otto nomination ai premi BAFTA del’78, vincendo come miglior attore non protagonista e per la Miglior colonna sonora.
Nota: Ne esiste anche una versione ridotta di “soli” 158 minuti.
VOTO: 7
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