Regia di Arthur Penn vedi scheda film
La ricca provincia americana è pervasa di un’ipocrisia inquieta, e stanca di se stessa. Il ritorno dell’evaso Bubber Reeves è come il rimorso che si riaccende in fondo alla coscienza: un trauma che riprende a pulsare all’interno del cervello e induce ad implorare a viva voce la pietà di una fine dignitosa. Questa storia è un noir sotto le luci accese; la luna, le lampade, i lampioni continuano crudelmente a illuminare un’umanità che non può dormire, perché deve partecipare alla veglia funebre delle proprie inveterate menzogne. L’agonia è accompagnata dalla tetra ubriachezza di una festa d’addio, dagli schiamazzi scomposti dell’ultimo banchetto prima dell’apocalisse. La caccia all’uomo assume così i contorni tenebrosi di un esorcismo collettivo, tinto dei toni espressionistici di un selvaggio baccanale a base di sangue e fuoco. L’irrompere della rivelazione nella fragile vita di facciata della borghesia scatena un delirio decadente: il perbenismo si presenta come una forma di paganesimo, che perpetua i propri riti dionisiaci per dimenticare l’imminente tramonto degli dei. Ma il perfetto oblio si compie solo nella pazzia, nell’assenza di regole, nell’abbandono alle forze primordiali, che esigono l’annientamento della ragione ed il sacrificio della civiltà.
In questo film, Arthur Penn dà alla Verità la molle consistenza della carne, per renderne plateale il vilipendio, attraverso l’ignobile crudezza del linciaggio e dell’omicidio a sangue freddo.
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