Regia di Arthur Penn vedi scheda film
Fulgido esempio di come un produttore con ambizioni autoriali può tentare d’impadronirsi del lavoro di un regista che Autore lo è di suo. Fu così che Sam Spiegel s’impadronì del girato di La caccia e lo montò a piacer suo, senza curarsi di un regista come Arthur Penn, che riteneva il montaggio una delle fasi cruciali della lavorazione di un film. È così che qualche particolare di La caccia può risultare un po’ campato in aria: per esempio, senza alcun riferimento al loro modo di vivere, i neri che compaiono nel film sembrano piovuti dal cielo. Ciò nonostante, e nonostante anche un’impostazione da film “vecchia Hollywood” (la “New Hollywood” nasce convenzionalmente con il successivo film di Penn, Gangster Story), il regista trae da questa storia una bella rappresentazione dell’ipocrisia e della violenza latenti in questa “company town” texana, appartenente al ricco Val Rogers (un ottimo E. G. Marshall). Film sul razzismo degli stati del Sud erano già stati fatti e ne saranno fatti in seguito: qui si va un passo oltre, perché il razzismo nei confronti dei “negri” è dato per scontato, ma la caccia (mimata quasi inconsapevolmente dal fuggiasco Bubber Reeves quando vede passare uno stormo di anatre) ha come obbiettivo un w.a.s.p. che più anglosassone non si potrebbe (interpretato dal giovane Redford). In questo groviglio di vipere che si chiama Terrell “il più pulito ci ha la rogna”, a cominciare dai genitori dell’evaso, per arrivare al riccone cui tutto è dovuto, passando per i simpatici vecchietti che passeggiano per la strada a fare la spia ridacchiando. Ed è agghiacciante lo spettacolo di questa cittadina, in cui si può tranquillamente entrare nelle case armati di pistola (la metafora sessuale dell’arma è più volte esplicitata) oppure di una copia della Bibbia dalla quale estrarre salmi nelle situazioni più assurde. I bravi cittadini di questo terrificante spaccato di Texas (quello stesso che ha recentemente prodotto il più stolido e pericoloso presidente americano della storia) hanno la pistola e la Bibbia come feticci, un po’ come nell’Italietta del Ventennio, Mussolini insegnava che il libro e il moschetto fanno il “fascista perfetto”. Ed è naturale giungere, dopo il pestaggio dello sceriffo (teso a chiudergli gli occhi, perché la legge non deve vedere il linciaggio che si sta per verificare), ad un omicidio che richiama da vicino quello di Lee Harvey Oswald, il (molto) presunto assassino di John F. Kennedy.
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