Regia di Arthur Penn vedi scheda film
I souther-drama credo siano i migliori modi con cui gli americani possano autocriticarsi e svelare i meccanismi perversi della loro “oliata” e perfetta macchina di potere e di propaganda, senza ricorrere al filtro metastorico. Il grande paese di Kerouac, di Hemingway, Melville, Thompson, Poe, Luther King, del rock, del blues, di Ray Charles e dei grandi spazi aperti, non può vivere di rendita e credere che bastino i suoi grandi cittadini per perdonare i non pochi orrori di una classe sociale votata alla sopraffazione, all’intolleranza e al sospetto. Con l’opera teatrale di Horton Foote, che fa appunto il paio con “Il Buio Oltre la Siepe”, vengono messe alla berlina, e molto chiaramente anche, tutte le inclinazioni distruttive e repressive del perbenismo occidentale (perchè circoscriverlo alla sola America sarebbe pietoso). Il carattere didascalico delle invettive trasformate da Arthur Penn in veri e propri motti rivoluzionari, altrove insopportabile, è qui invece per nulla pesante, e riesce a caricare eversivamente l’intenzione autoriale del regista.
Parlando più strettamente degli attori, non solo Marlon Brando giganteggia su tutti, anche perchè è ben visibile quanto il suo corpo fosse predisposto ad allargarsi, ma i comprimari di lusso, ognuno con la propria isteria che li porterà alla distruzione di tutte le impalcature instabili che s’erano creati, sono tutti perfetti atomi impazziti. Dal vigliacco perbenista di Robert Duvall, all’aggressivo capitalista di E.G. Marshall, fino alla focosa anticonformista di Jane Fonda e al suo amore idealista interpretato da James Fox. Intorno a loro un altrettanto bizzarra quanto irritante fauna di patetiche figure dis-umane. La coppia Fuller, con moglie cornuta e marito xenofobo, si completa con la coppia Stewart, con il marito Duvall vigliacco e impotente e la moglie libertina fino alla parodia, e a loro volta queste coppie si completano e si rimandano con personaggi vari che ruotano loro intorno: razzisti, ubriaconi, scambisti, vecchi cialtroni moralisti, vecchie madri in errore da una vita, e così via. La crudeltà dei benpensanti, degli attivisti bianchi, irrimediabimente e orribilmente very wasp, è al centro della riflessione dei due autori. Da un lato il drammaturgo che con il suo testo individua e scardina con il potere della parola rappresentata tutta un’umanità rivoltante che sta alla base, inverosimilmente, del successo di una Nazione intera; dall’altro il regista cinematografico, che con il suo tocco unico, il grande dry-touch perpetuato oggi da Clint Eastwood, restituisce le immagini che vanno oltre il testo ed entrano nel tessuto culturale di una società che punta tutto sull’immagine e l’estetica aggressiva del vincente di successo.
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