Regia di Wash Westmoreland vedi scheda film
TFF 36 - FESTA MOBILE
Colette, la donna protagonista del suo tempo, artista multiforme e poliedrica, femmina di riferimento della cultura della prima metà del '900, personalità fiera e combattente, schierata a favore della libertà e dell'anticonformismo: circostanza, quest'ultima, che non significa affatto un opportunistico incoraggiamento delle teorie di quel femminismo che anzi la donna ha sempre disprezzato apertamente, prendendo ogni volta le debite distanze da facili, superficiali strumentalizzazioni.
Per la regia, formalmente corretta, del regista britannico de La Quinceanera e di Still Alice, Wash Westmoreland, la cinebiografia incentrata sulla vita travagliata, avventurosa, sin spregiudicata e sicuramente anticonformista di Sidonie-Gabrielle Colette, sull'opera letteraria per troppo tempo usurpata dal prepotente marito e mentore Henry Gauthier-Villars, padre padrone soggiogatore anche di una personalità fiera ed indipendente come quella di Colette - procede nel suo racconto rispettando la formalità di un qualunque film d'epoca, forte di uno studio appropriato a livello scenografico, di costumi ed ambientazioni.
Non manca, al film formalmente corretto, il tassello erotico-civettuolo, consono, ma pure indispensabile, a tracciare con verosimiglianza i lineamenti della figura intransigente ed impetuosa dell'artista, riuscita a creare, tra le oltre ottanta opere di narrativa che risultarono uscite - ma pure subdolamente sottratte - dalla sua fertile penna e mente, un personaggio di culto come Claudine, donna che più di ogni altra rispecchiava le caratteristiche intime della medesima scrittrice.
Ma non si può altresì rinunciare a pensare che il film, cadenzato nel suo evolversi narrativo secondo uno schema un po' troppo risaputo e per nulla innovativo, non riesca mai veramente a dimostrarsi realmente interessante, costretto com'è a scivolare nella solita ripetizione di cliché decorativi un po' stantii, che l'ostentazione di un seno nudo o di un bacio saffico non riescono per nulla a scalfire né ad addivenire ad un rimedio narrativamente convincente.
Per quanto riguarda le performance dei due protagonisti, si rileva un indubbio impegno da parte di entrambi nel voler rendere più possibile coerente e credibile ognuno il proprio colorito e passionale, oltre che eccentrico, personaggio. Ma la pur volonterosa Keira Knightley sconta una sino ad ora insormontabile limitatezza espressiva che l'ha sempre un po' limitata nelle svariate performance, anche di gran livello, di cui è costellata la sua tutt'altro che banale carriera; dal canto suo il corpulento Dominic West appare sin troppo preso da incontrollata compulsività nel tentare di rendere appropriata e palpabile la malvagità e il doppiogiochismo bieco del suo controverso personaggio, rischiando in tal modo di trasformare la sua parte in una maschera manichea e sin troppo colorita, a rischio di caricatura.
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