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Triplo gioco

Regia di Peter Medak vedi scheda film

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La recensione su Triplo gioco

di FilmTv Rivista
8 stelle

 

Una tavola calda sperduta nel deserto dell'Arizona, e il suo barista (un ex poliziotto che è sparito dal mondo dopo aver tradito prima i suoi colleghi poi la mafia) che aspetta: aspetta una donna, sua moglie, che se ne è andata con una borsa piena di soldi e un appuntamento, proprio lì, in quel bar nel deserto dell'Arizona. Aspetta e ricorda, tutti gli intrighi, i doppi e tripli giochi, le donne che l'hanno trascinato a seppellirsi là. Comincia così, come il più classico dei noir anni ’40, con la voce off di Gary Oldman che racconta la sua storia e il flashback che parte con le sue immagini del passato, Triplo gioco, noir postmoderno, piuttosto ironico e molto scorsesiano diretto l'anno scorso da Peter Medak, un regista inglese stravagante e altalenante che divenne quasi famoso nel ’72 con La classe dirigente, balletto delirante e surreale con un Peter O'Toole mezzo Cristo e mezzo Jack lo Squartatore, quasi pre-Monthy Python.

 

 

Triplo gioco non c'entra niente con La classe dirigente; se mai assomiglia a un film recente di Medak, I corvi (1990), la ricostruzione della vita e delle "imprese" dei gemelli Kray, grandi boss della malavita londinese anni ’60, un film passato inosservato in Italia, ma molto apprezzato in Inghilterra e in America. Come I corvi, anche Triplo gioco spinge sull'acceleratore della violenza, del paradosso e dell'ironia che arriva a punte surreali. E' decisamente surreale la dark lady spietata di Lena Olin (bellissima come nell'Insostenibile leggerezza dell'essere), capace delle imprese più nefande, di una sensualità mortuaria e sarcastica, di una ripresa (ferita, contusa, con un braccio artificiale) sovrumana.

 

 

Ed è quasi surreale la faccetta intelligentissima di Gary Oldman, tra Ray Liotta di Quei bravi ragazzi e Tim Roth di Cani da rapina, che si destreggia tra troppe donne (oltre alla Olin, la moglie volitiva Annabella Sciorra e l'amante sperduta Juliette Lewis) e affari sporchi più grandi di lui. Un film imperfetto, troppo intellettuale per essere davvero coinvolgente e troppo apertamente ironico per essere davvero di genere. Ma con quattro attori che sono la forza del cinema del futuro e una sceneggiatura (di Hilary Henkin) che per alcuni anni è stata famosa come «una delle 10 migliori sceneggiature mai realizzate da Hollywood». Che non è poco.

 

 

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 36 del 1994

Autore: Emanuela Martini

 

 

 

 

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