Regia di Woody Allen vedi scheda film
C’avete fatto caso che Allen realizza sempre lo stesso film? Se conoscete un pochino Woody, certamente, ve ne sarete accorti. La pietanza è sempre la stessa, nella maggior parte dei suoi film (non il filone, diciamo così, sperimental-intellettuale che annovera Interiors, Settembre, Ombre e nebbia, ma anche, per certi versi, l’originalità de La rosa purpurea del Cairo – quei film, insomma, dove non compare lui in persona), è la salsa a variare. Detto così, si potrebbe liquidare questa ennesima delizia alleniana come la solita briosa commedia, senza perderci più di tanto tempo. E invece no: ho come la vaga impressione che Misterioso omicidio a Manhattan abbia qualche differenza con i precedenti opus del regista newyorkese. C’è un tocco ancor più interiorizzato nel disegno dei personaggi. Sebbene la patina di commedia spudoratamente alleniana sia ben evidente (per fortuna), non si schivi l’idea della presenza di una vena, oserei dire, ironicamente pessimistica nella rappresentazione dell’ambiente borghese impegnato in un surreale giallo degli equivoci.
Lecita l’opinione che ci sia, in un recondito (?) sottotesto una sorta di noia che attanaglia i personaggi del film? Chissà, forse sì. Forse Allen vuole mettere in risalto la stasi intellettualistica di un determinato microcosmo, quello dei borghesi metropolitani di mezza età realizzati sul piano professionale e smarriti su quello sentimentale. Tre quarti del gruppetto principale proviene da quella perla di inquietudine che è Crimini e misfatti (Allen, Alan Alda che era il produttore brillante, e Angelica Huston che faceva l’amante del dottor Martin Landau, destinata ad una brutta fine), e probabilmente non dovrebbe essere un caso: è come se il demiurgo comune delle due opere abbia voluto offrire una qualche quiete ai due personaggi-attori. Nel cinema di Allen, d’altronde, il rapporto personaggio-interprete sembra trovare una simbiosi non ordinaria (e lo stesso registattore ne è l’esempio più eclatante – senza dimenticare Diane Keaton, compagna di avventure dell’autore sin dai tempi di Amore e guerra).
Misterioso omicidio a Manhattan è un film di evasione intellettuale dalla (e sulla) paura dello sconosciuto (inteso come ciò che non si conosce perché non se ne conoscono i segreti) in cui Allen gioca sadicamente nel turbare sarcasticamente le sue creature. Trova anche il tempo di omaggiare (come suo solito) il cinema che fu (stavolta si cita esplicitamente e visivamente Orson Welles ne La signora di Shangai e la Barbara Stanwyck de La fiamma del peccato: due film sulle zone d’ombra) e il suo luogo naturale (la sala cinematografica). Grazie ad una sceneggiatura al fulmicotone (è questo il film della leggendaria battuta “Ogni volta che sento Wagner mi viene voglia di invadere la Polonia”) ricca di dialoghi sferzanti e pungenti, il film non è solo godibile, ma soprattutto divertente. Certo, retrogustivamente s’avverte una punta di malinconica amarezza, ma forse è meglio non approfondire troppo. Altrimenti si scoprirebbero elementi che potrebbero contraddistinguere la visione di un atteggiamento ambiguo. E allora lo si guardi, ci si svaghi e buonanotte al secchio.
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