Regia di Vincente Minnelli vedi scheda film
Ci sono giusto due differenze tra il titolo originale Some Came Running e il titolo italiano Qualcuno verrà. Solo con poca conoscenza dell'inglese si capisce che il titolo originale si riferisce a un'azione passata e non futura. Non c'è niente di profetico, forse di fatalista, ma a quel punto si potrebbe dire più che altro Qualcuno se ne andrà. Poi, secondo e ultimo ma non ultimo, il running che scompare nel titolo italiano ammorbidendo il carattere impetuoso del titolo americano. Non è una minuzia: se qualcuno sta davvero arrivando nella piccola città di Parkman o è già arrivato, per meglio dire, come causa fondante dei guai futuri, non l'ha fatto camminando tranquillamente o sbronzo su una autobus come Frank Sinatra (che sia lui il qualcuno?), ma correndo in preda alla disperazione, per sconvolgere la società e tutte le sue alte bassezze. Come una folata di vento che preannuncia (o fa da saluto a) un tornado, l'anticonformismo non fine a se stesso e sincero di Frank Sinatra e Shirley MacLaine arriva a scuotere melasse borghesi chiuse in se stesse nei loro circoli, fatti materialmente di discriminazione, rancore e ostilità represse dall'ipocrisia. Il buonismo dilagante, in realtà cattiveria e disprezzo, condiziona gli abitanti di Parkman, a partire dai familiari dello stesso protagonista, appena arrivato da un'assenza di 16 lunghi anni. Il nuovo arrivo, inaspettato, non genera un comitato di benvenuto, ma coglie alla sprovvista tutti trascinando con sé una nuova spirale di pettegolezzi. E come a dire che neanche in famiglia sopravvivono la benevolenza e la sincerità, la cognata di Frank Sinatra lo accoglie in casa e allo stesso tempo lo maledice con tutta se stessa.
Tra i requisiti finto-morali che un uomo deve possedere nell'ambito di un paesino dell'America centrale come Parkman per essere ben accetto sta la giusta frequentazione di persone, e non è un fenomeno univoco e unidirezionale, ma colpisce anche i più inaspettati (un Dean Martin testardo e assai antipatico, a dirla tutta, con il suo cappello sempre attaccato in testa). Dave (Sinatra) fa amicizia con una prostituta e un giocatore d'azzardo, e questo ostacola la sua storia d'amore con l'odiosa Martha Hyer, non per chissà quale controindicazione, ma perché la donna suddetta non è in grado di accettare un uomo dalle simili compagnie: quella che inizialmente sembra un'immaturità sentimentale, da parte della maestrina (che poi dice di voler capire la tendenziale e apparente amoralità di Zola o addirittura la promiscuità di Baudelaire), si rivela infantilismo bello e buono, specchio di un'intera società. Il fallimento del loro amore è il fallimento dell'ingresso nella società dei "buoni" di Dave, forse perché proprio Dave, trascinato da sentimenti avversi, prova un fascino magnetico per la vita tranquilla e borghese ma allo stesso tempo è cosciente che trova solo al di quà del buono stato sociale la sincerità di cui ha bisogno e che gli altri non gli hanno mai dimostrato. A riversarsi in queste contraddizioni umane così palpitanti sotto lo sguardo lucido di Minnelli, attento ai personaggi più che alla storia in sé, troviamo un'invadenza mediatica tipicamente americana, una consapevole amarezza nei confronti dei rapporti umani e la negazione della propria autorialità, da parte di Dave, nel momento in cui dichiara di non essere autore nonostante diversi libri da lui scritti in passato. In questo senso Dave si ritrova bloccato in una divisione che non è soltanto fra ingenua sincerità e banale/affascinante ipocrisia, ma fra ignoranza (semplicità?) e erudizione, che la sua bella innamorata possiede in quanto maestra di scuola. E qui sta il dibattito esistenziale del suo personaggio: se davvero la conoscenza appartiene solo al ceto più alto.
E' il dialogo finale con Shirley MacLaine a illuminarlo, quando lei afferma: "Non ho capito niente del tuo romanzo ma mi è piaciuto lo stesso, che c'è di male? Io non capisco niente di te, ma ti amo lo stesso". La cultura incarnata da Shirley MacLaine in questa inconsapevole massima è lo spirito rivelatore per un nuovo sentimento, che spingerà Dave alla decisione successiva, un sentimento che è più per un ideale compromesso fra cultura (semplice) e ingenuità (ignorante?) che per una persona in carne ed ossa. Cosa che ovviamente è vissuta all'opposto nel personaggio della MacLaine, probabilmente nella sua migliore interpretazione, Ginnie Moorehead. Se davvero lei rappresenta il possibile compromesso è lei la vera protagonista dell'intero film di Minnelli, e d'altronde non si fa altro, durante la visione, che adorarla, perché buca lo schermo e, nonostante sia una sozza (Dean Martin cade dal cuore), fa davvero innamorare. Lo spettatore però, Dave non proprio. In ogni caso, il film non poteva finire in maniera diversa, cosicché il melodramma diventa un'analisi accurata di quello che è il destino della cultura, nello scontro sociale e umano fra persone differenti. Un pessimismo che sa andare oltre il semplice gusto spettacolare e romantico: uno dei migliori film di Minnelli.
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Chapeau 8,5!!! Questo è uno dei miei film preferiti e uno dei capolavori assoluti del cinema USA, clamorosamente "underrated" e schedato al massimo come un bel melodramma, con un buon cast e una gustosa messinscena, quando invece è uno dei testi filmici fondamentali per capire alcuni elementi della società e della cultura a stelle e strisce (ma non solo), come il concetto di outsider, l'ostilità della borghesia di provincia mascherata da perbenismo, la falsità delle convenzioni, la repressione del desiderio e, come hai detto tu, il discorso delle classi, della cultura come elemento divisorio etc...Minnelli è talmente delicato ed acuto nel dirigere questo film che i personaggi diventano quasi vivi, umanissimi nella loro complessità, tanto da rappresentare conflitti e disillusioni proprie anche di altre epoche (come la nostra) e di altri Paesi (come il nostro)...Quanti scrittori falliti, quanti alcolizzati, quante donne "facili" ma tenere, quanti bigotti, quante donne frustrate, insomma quanta Parkman ritroviamo, ogni giorno, a tenere in piedi il mesto "teatrino sociale", nei nostri piccoli/grandi paesi/città? E sempre con gli stessi esiti, con la stessa cattiveria, con la stessa ipocrisia...Un ultima cosa: ho sempre pensato che "Cinque pezzi facili" di Rafelson fosse una specie di parafrasi di "Qualcuno verrà", con Nicholson al posto di Sinatra nel ruolo dello spiantato, Karen Black al posto della MacLaine, l'amico alcolizzato, la bionda perbene e falsa, la famiglia borghese etc...un saluto!
Grazie mille, Ed, il film mi è piaciuto molto e mi ha dimostrato come può essere attualissimo, in termini sociologici, un film anche di quegli anni , e soprattutto da un regista che è meno conservatore di quanto oggi potrebbe sembrare. In questo senso devo dire che mi è piaciuto anche di più 'A casa dopo l'uragano', visto qualche mese fa, ma in questo sono stato letteralmente trascinato dall'interpretazione di Shirley MacLaine, che mi ha commosso come in nessun altro suo ruolo e come pochi altri ruoli, a dirla tutta, nella storia del cinema. Tanto che mi è sembrato che gli altri attori sfigurassero..comunque il ritratto che il film dà della società è duro e veritiero, senza ghirigori, e per questo il film è decisamente importante! Non avevo pensato al tuo paragone con 'Cinque pezzi facili' (che non adoro particolarmente, come il resto del cinema di Rafelson), ma credo che ci possa benissimo stare, anche se lì rimbomba l'eco della New Hollywood e delle forzatissime volontà di apportare novità ('Il re dei giardini di Marvin', che però mi ha annoiato tanto). Ciao!
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