Regia di John Carpenter vedi scheda film
Uno dei cult del grande Carpenter, “La cosa” non è però uno dei suoi lavori migliori. Era un film che “doveva fare”, senz’altro, da appassionato (nonché massimo erede) del cinema fantastico di serie-B degli anni 50 (ma anche di altre epoche, come dimostreranno i vari remake degli anni 90, dall’Uomo invisibile al Villaggio dei Dannati, e di altri generi, come dimostra il resto della sua prestigiosa filmografia). Nell’adattare all’ideologia citazionista degli anni 80 il classico canovaccio da fantascienza d’annata (l’invasione aliena), Carpenter rinnega il logorroico eccesso verbale del classico di Niby/Hawks del 1951 (praticamente una commedia) in favore di un piglio più blando, più attendista. Per essere di Carpenter, è un film che difetta di ritmo ed intensità. Probabilmente il problema sta nel manico, ossia in una sceneggiatura (non sua) che mischia diverse suggestioni senza riuscire a focalizzarne una in particolare; parimenti, la galleria di personaggi è ben poco incisiva, allineando stereotipi (lo scienziato pazzo, il fragile, lo sbruffone, l’eroe fascinoso etc…) senza che alcuno di questi possa ergersi a vettore di idee e concetti importanti. Il risultato è quindi un film senza una particolare cifra stilistica e tematica, che non aggiunge molto alla Storia del cinema di SF e horror (al di là del successo di cassetta, dello status di cult-movie, dell’iconografia dei mostri etc…elementi comunque da tenere in considerazione), e che vale più che altro come un gustoso riassunto di 3 decenni di cinema fanta-catastrofico: dall’incubo di spersonalizzazione degli Ultracorpi di Siegel alla disgregazione della comunità profetizzata dai vari Zombie di Romero, dalle disgustose contaminazioni para-biologiche di Cronenberg alla mostruosità articolata e proteiforme dell’Alien di Scott, fino a citazioni abbastanza scoperte dei vari Esorcisti (una scena di lievitazione) e Squali (l’esplosione finale, con parolaccia, proprio come nel film di Spielberg). Eccezionali ed inquietanti risultano il trucco e gli effetti speciali, che deformano espressionisticamente le fisionomie umane e canine; molto meno lo score di un Morricone del tutto fuori contesto. Kurt Russell parte in sordina, ma poi prende in mano (come da copione) le redini del gruppo. Al di là di una escalation di suspense meno efficace che altrove, nonostante il consueto utilizzo delle soggettive che dominavano “Halloween”, Carpenter ha comunque avuto il merito di aver composto un affresco di disumanità “virale”, che evita ogni catarsi e rimane ostile ad ogni possibile riconciliazione, come dimostra il finale sospeso.
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