Regia di John Carpenter vedi scheda film
Opera di culto arrivata in sala tre anni dopo Alien di Ridley Scott richiamandone diversi aspetti - luogo dal quale non si può fuggire, gruppo ristretto di persone e un mostro sconosciuto - e accolta ai tempi senza un particolare entusiasmo da parte del pubblico, ma cresciuta nel corso degli anni meritando ampiamente l’alta considerazione che ormai possiede.
Un team di scienzati isolati tra i ghiacci dell’Antartide salva un cane fuggito dalla caccia di un gruppo di colleghi norvegesi, senza sapere che quest’ultimo in realtà ospita un alieno in grado di prendere possesso dei corpi con cui entra a contatto.
In breve tempo, non solo cominceranno a morire diversi uomini, ma soprattutto ognuno comincia a guardare i colleghi con diffidenza e la paura di trovarsi in realtà di fronte una creatura ostile, potenzialmente in grado di sterminare l’intera umanità.
Quando si posizionano tutti gli elementi nel posto giusto e si è perfettamente coscienti di quello che si sta andando a comporre, spesso nascono grandi film.
The thing rientra appieno in questa categoria, essendo un vincente amalgama tra fantascienza, thriller e horror per poco più di cento minuti da vivere con il fiato sospeso, un dubbio sempre crescente di chi è (la) cosa e un finale nichilista e coperto che fa rimuginare per lo sgomento ben oltre i titoli di coda, con svariate considerazioni al seguito.
L’ambientazione è di gran supporto, con il rapporto tra luoghi immensi ma insolcabili causa forze maggiori e la ristrettezza di una base nella quale dietro a ogni angolo e volto si può celare la morte.
Anche il crescendo narrativo è vincente, procedendo di pari passo con le invenzioni mostruose di Rob Bottin, quando si dice che l’artigianato può fare miracoli (non si può dimenticare che il film ha già trent’anni abbondanti sul groppone).
Ma soprattutto, la pietra angolare rimane John Carpenter - senza dimenticare l’amico fidato Kurt Russell che offre un’interpretazione di gran temperamento - che sa orchestrare la tensione (inutile aggiungere come i registi di oggi dovrebbero imparare da film come questo come si faccia a gestire), proponendo tempi d’azione esemplari e soprattutto gestendo le inquadrature con saggezza, ben cosciente degli stimoli da somministrare.
Insomma, The thing possiede tutte quelle caratteristiche che determinano un film riuscito, un cinema old school che segue la sua strada non per capriccio, ma perché sa semplicemente essere la migliore, se non proprio l’unica giusta.
Imperdibile.
A corredo ecco un po’ di curiosità dagli inserti speciali del bluray (davvero interessanti e ben sviluppati, da leccarsi i baffi):
Nella scelta del cast Kurt Russell aiuta da amico Carpenter nelle scelte e solo alla fine quest’ultimo gli offrì la parte da protagonista.
Rispetto all’originale nel cast sono del tutto assenti le figure femminili; Carpenter face questa scelta per risultare più diretto e non offrire possibili chiavi di lettura tra sessi non volute.
Per gli esterni fu scelto il ghiacciaio maggiormente avvicinabile con i mezzi di trasporto (Stewart nella British Culumbia); era circondato da alberi che furono nascosti con le scenografie.
Le scene negli interni vennero girate a Los Angeles in un’estate torridissima; per ricreare l’effetto del fiato dovuto al gelo oltre a tenere la temperatura più bassa possibile l’ambiente veniva completamente spruzzato d’acqua per aumentare al massimo il tasso di umidità; per gli sbalzi di temperatura i malanni furono molteplici; quando gli attori uscivano dallo studio bardati da inverno ricordano ancora gli squadri sgomenti dei passanti.
Per la scena horrorifica con l’apertura del torace a tenaglia fu necessario un make up di circa 10 ore; la testa e le braccia erano dell’interprete che nascondeva il resto del corpo sotto il tavolo con l’addome perfettamente riprodotto tanto da generare lo stupore degli altri colleghi di set; era una scena da un unico ciak, infatti in caso di errore tutto il make up andava rifatto ed ovviamente la prima andò male per lo sconforto del truccatore che si ritrovò a lavorare per più di 20 ore filate dato che andava terminata la sequenza entro la giornata.
Sempre nella stessa scena la ricostruzione dell’amputazione venne eseguita dapprima con l’interprete originale in carne ed ossa; nel momento del taglio ovviamente le braccia furono ricreate artificialmente, ma poi quando il personaggio si muove senza arti superiori è stato sostituito da un persona che li aveva persi sul lavoro, che Bottin ricorda con grande simpatia, con una maschera con le sembianze dell’attore sul volto.
Tutti gli effetti speciali sono opera di Rob Bottin tranne il primo con lo smembramento del cane che eseguì Stan Winston utilizzando la tecnologia dell’animatronic che stava sviluppando proprio in quel periodo.
Era stato preparato un finale alternativo, un vero e proprio happy end con il protagonista che viene salvato e per giunta con tanto di scena con le analisi del sangue che risultavano a posto, ma per fortuna questa volta non vi è stato alcun stravolgimento al senso voluto da Carpenter (che ovviamente è la ciliegina sulla torta).
Il film è una sua creatura e se è diventato un cult il merito principale è suo.
Sa come fare paura, coltivare un dubbio e ricreare una tensione tagliente, insomma tutto quello che occorre per fare un cult di questo genere.
Bravissimo.
Tra i tanti coprotagonisti non sarà un mostro di recitazione, ma da il suo contributo senza sfigurare.
Più che sufficiente.
Continua il felice connubio con Carpenter ed ancora una volta è chiamato a ricoprire la parte del leone.
Interpretazione determinata e di carattere, meno appariscente rispetto ad altre fatte con John, ma questo per forza di cose.
Caparbio e bravo.
Non fa mancare il suo apporto.
Più che sufficiente.
Altra parte che va a completare un insieme nel modo giusto.
Adeguato.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta