Regia di John Carpenter vedi scheda film
Per questo remake de “La Cosa da un altro mondo” del 1951, John Carpenter preferisce, inizialmente, la prospettiva esterna: i protagonisti non sono i diretti scopritori della creatura aliena imprigionata nella banchisa antartica. Essi, però, progressivamente, ne vengono contaminati e invasi in una maniera che devasta poco a poco la loro quotidianità, fino a costringerli a dirigere le proprie armi di distruzione prima contro le proprie cose, poi contro se stessi. Nella cinematografia di questo autore, la normalità è la scorza più superficiale della realtà, mentre il mistero è sempre collocato dentro, oltre una soglia invisibile, nascosta dall’apparenza, e che ad un certo punto viene inavvertitamente valicata: una linea virtuale che separa la luce dal buio, il noto dall’ignoto, l’umano dal bestiale. Lungo questo confine infuria la follia, l’esplosione della mente, che qui è visualizzata dal violento erompere di un mostro da un involucro di carne. Toccare l’aldilà è un’esperienza terrorizzante, che produce l’effetto di una scossa elettrica, provocando tremiti e tensione nella calma lunare di un posto fuori dal mondo, e facendo divampare un calore incandescente in mezzo ai ghiacci eterni. La cosa ripropone, in chiave fantascientifica e tecnologica, il classico tema dell’inviolabile violato: un mito millenario che, a partire dal frutto proibito della Genesi e dal vaso di Pandora, ha da sempre avvolto, nella magica veste dell’immaginazione, le nostre ataviche paure, inventando, per le inspiegabili catastrofi dell’umanità, un’origine ultraterrena e parimenti sconvolgente.
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