Regia di John Carpenter vedi scheda film
L'antieroe carpenteriano per definizione è il solitario e lapidario Kurt Russell, erede dei modi e delle battute del Clint Eastwood leoniano, prima opzione tra l'altro per questo film. Ma il destino ha poi voluto che regista e attore si ritrovassero insieme dopo "Fuga da New York" e dal televisivo "Elvis", per continuare un sodalizio di soli capolavori che proseguirà con "Grosso Guaio a Chinatown" e "Fuga da L.A". Ciò che affascina in partenza "La Cosa", per noi bimbi degli anni '80 un vero terrore mediatico insieme al primo "Nighmare", è la fedeltà al racconto originale e l'infedeltà della versione cinematografica del 1951 firmata da Howard Hawks, risaputo modello ispiratore di John Carpenter. Ciò che fa il regista è lo stesso che fa la sua creatura aliena, si insedia in un corpo, lo imita e lo muta. Così Carpenter si insedia nel film del '51, lo imita e lo muta prendendo come modello principale il racconto letterario originale di Don A. Stuart. Ma non solo, se nel film di Hawks/Nyby l'alieno è il catalizzatore che compatta uomini tra loro in conflitto (conservatori vs. intellettuali), nel film di Carpenter invece li divide ulteriormente generando una caccia alle streghe a volte sconsiderata. Il pessimismo si avvicina così alla follia collettiva di una società che non si fida più, non sa più collaborare. La guerra fredda dei '50 è finita, l'America non ha più bisogno di propagandare la coesione contro gli alieni/russi o gli indiani/comunisti. E'tempo di dire la verità, e cioè che il mostro, l'alieno, il pericolo, il Male, siede accanto a te. Ce l'hai vicino e non ti puoi fidare. Quindi il film risulta un'avvertimento, un monito o una considerazione spietata su una condizione irriversibile dell'uomo? Stando ai mutamenti della "cosa" dobbiamo credere che un cambiamento è possibile, ma forse solo su un piano negativo, di sopraffazione reciproca, tipico del capitalismo. Il regista, fiero americano capitalista, ma profondamente inquieto davanti all'abuso di tali traguardi economici e sociali, sa tagliare in due, come la povera Dalia Nera, il corpo diogreco dell'America anni '80, cultrice del fitness e del machismo che da estetica diventa filosofia e politica, militare e non.
Con tutti i dubbi e le ambiguità che ci lascia sia il film in generale che il suo inquietante finale, la pellicola ha il pregio di essere l'ennesimo western criptato del regista. Non solo ci sono segni che appaiono come citazioni, vedi il cappello di Kurt Russell e il capitano Moffat che porta cinturone e pistola come se fosse uno sceriffo, ma anche certe modulazioni narrative, i linciaggi, le lande artiche che ricordano quelle desertiche, gli interni, e così via. Prove generali forse per quel "Ghosts of Mars" la cui referenza western è più chiara e dichiarata. Qui invece, è più criptata, e l'ambiguità generale del film contribuisce appunto a inquietare lo spettatore, fermo e interrogativo di fronte a Madonna Ambiguità.
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