Regia di Ettore Scola vedi scheda film
C'è un cinema coraggioso che non paventa l'orrore, né se ne compiace, e affonda il pennello nei liquami del degrado per dimostrare che, se è vero che dal letame nascono i fior, questi ultimi appartengono certamente a piante carnivore. La famiglia Mazzatella trasforma la miseria in uno sconcio tripudio della fisicità grassa e sanguigna: i corpi ammassati nella baracca sono il terreno di coltura di istinti voraci e lascivi, perché la promiscuità forzata soffoca il respiro dell'umanità, diventando un cappio al collo per i valori liberi come l'amore e la civiltà. Starsi addosso è un invito a fagocitarsi a vicenda, per creare nuovo spazio vitale e appropriarsi delle altrui sostanze, benché queste siano sono solo luridi rifiuti e squallidi residuati di esistenza. Essere buttati lì, in quella fossa comune che è l'emarginazione delle bidonville, annulla le distinzioni di ruolo, età e condizione secondo le quali è usualmente organizzata la società, e, in questo modo, complicità e rivalità sono il frutto estemporaneo della necessità, che può davvero, indipendentemente dai vincoli di parentela, creare sodalizi impossibili o mettere tutti contro tutti. In questo brodo primordiale, i concetti di incesto, adulterio, bigamia perdono di significato, perché la mancanza di una struttura gerarchica o morale rende ognuno, indistintamente, cacciatore e preda di ogni altro. Con Brutti sporchi e cattivi Ettore Scola conia una forma di naturalismo espressionista inedita per il panorama italiano; il suo film è un quadro dipinto con colori acidi, in cui lo spirito popolare imputridisce in un marciume infernale di cui si cibano tutti, uomini e topi, fino ad ammorbare l'anima e l'aria. I contorni di questo nefasto ritratto corale sono ricalcati a mano con un tratto spesso e nero, che inchioda le figure all'orribile sfondo, decretando ad ogni istante – e, con desolante incisività, nell'ultima scena – la definitiva e totale assenza di ogni speranza.
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