Regia di Theo Anghelopoulos vedi scheda film
Siete solo tu e il fiume. Il confine è dentro di noi.
Il film fa della lentezza, esasperante, la sua arma. Il suo veicolo del fatto che mentre la vita altrove scorre indisturbata, apparentemente normale, il fiume che scorre; qui, sul confine fra la vita e la non vita, nel limbo dell'umanità, il tempo è fermo, immobile. Ciò che qui accade non ha nessun futuro e non produce alcun cambiamento, nemmeno al suo interno. Puoi anche decidere di amare, di sposarti, ma non potrà mai accadere per davvero. Tutto è fermo, ingessato, impantanato dal fango, dal freddo, dalla neve, dove l'unica possibilità di fuggire è quella di perdersi nelle sue sconfinate paludi. Le paludi diementicate dell'umanità e dall'umanità. Non serve attendere la morte. Siamo già morti!
Al di là di queste impressioni, a volte laceranti, tuttavia, il film non mi è piaciuto. Non siamo più abituati a questi lunghi piani sequenza dove non accade nulla, ma per l'appunto, probabilmente l'obiettivo era anche quello di stremarci, come sono sicuramente stremate persone, popoli che da anni, o peggio, da generazioni, attendono anche loro un piccolo sprazzo di vita, o almeno la speranza che un giorno prima o poi arriverà.
In tutto questo, c'è poi chi lavora al mantenimento delle linee telefoniche sul confine. Ma a cosa mai serviranno. Chi mai dovrà comunicare su di un confine dove la pace non esiste e la comunicazione avviene solo con una radio sulla zattera o guardandosi da una sponda all'altra? Il telefono è un elemento di modernità che stride, dovrebbe unire, ma è assolutamente inutile in un mondo fatto di persone che non sanno, e forse non hanno mai saputo, comunicare davvero. Ma, peggio, che non vogliono.
Siete solo tu e il fiume. Il confine è dentro di noi. E forse il vero protagonista, è l'unico ad averlo capito.
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