Regia di Luigi Zampa vedi scheda film
Dopo varie disavventure con la censura (soprattutto per Anni difficili) negli anni precedenti ed altrettante che verranno negli anni successivi (soprattutto per Anni facili), stranamente, Processo alla città ha, da questo punto di vista, vita abbastanza facile. Eppure si tratta di un atto d'accusa piuttosto duro nei confronti della classe borghese italiana del periodo della Belle Epoque. Eppure l'escamotage di fare un film sostanzialmente in costume, con l'ambientazione posta mezzo secolo prima, funziona, quanto meno con la censura. Ancora più decisiva, ai fini di ottenere il nulla osta, è la circostanza di non avere messo tra gli individui corrotti nessun politico, nessun funzionario pubblico e nessun magistrato, che potesse sembrare un atto d'accusa nei confronti della classe dirigente postbellica. Peraltro, la società liberale d'inizio Novecento non riscuoteva simpatie né tra gli ex fascisti che negli anni Cinquanta ricoprivano cariche importanti al Ministero della cultura né tra i politici del potere democristiano.
Certo è che si può parlare del presente anche fingendo di parlare del passato ed è probabilmente quello che fanno Zampa e i suoi collaboratori, senza dare troppo nell'occhio. Ed in effetti ne esce un film tra i più seri e riusciti del regista romano, che, inconsapevolmente, anticipa i film di denuncia di qualche anno dopo.
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