Regia di Luigi Zampa vedi scheda film
Un grandissimo film sull’Italia, sulla camorra, sull’associazione a delinquere di pochi ricchi che conducono a rovina una città intera (lì Napoli), una regione intera, una nazione intera.
Qui è molto chiaro: l’associazione a delinquere (di alcuni ricchi, non certo solo di poveracci!) in Italia vince sullo stato. Il consequenziale attacco della politica e della stampa (asservita al potere economico e dunque politico), contro la magistratura che fa il suo dovere in modo inflessibile, è vincente. La gente preferisce la mafia allo stato: sarà illegale questa camorra, ma sembra che salvi dalla fame, e quindi è meglio di niente. Anche se in realtà è peggio di qualunque altra cosa legale, per quanto scalcagnata possa essere quest’ultima: con l’illegalità si è comunque poveri, e in più si è minacciati, senza speranza di vedersi riconosciuto il proprio diritto, e dunque più tristi.
Bel giallo, anche se molto complicato nella trama, di cui veramente a fatica si coglie la ricostruzione. Molto bella è la ricostruzione al ristorante. Lì nessuno sa niente, invece sono tutti complici, omertosi. Di fronte alla verità, recitano tutti la parte di coloro che non sanno, una parte coscientemente falsa. Eppure questa parte è stata sempre assai consigliata in Italia, dal punto di vista educativo: in modo però implicito, in un modo tale che nessun altro dovesse accorgersi di questo indirizzo, che la madre ha dato al figlio, che il padre ha dato al figlio, che il nonno e la nonna han dato ai nipoti, che anche gli zii hanno dato ai nipoti. Si vive bene così? No, anzi, forse così ci si apre meglio alle tragedie, personali e collettive.
Cast e ricostruzione storica sono ottimi. Nazzari e Stoppa sono perfetti.
Il finale mostra i mandati di cattura e una certa fiducia nella giustizia. Giustizia che però non c’è oggi, e non c’era allora al momento della costruzione del film (1952), e non c‘era nemmeno prima, ai tempi dei fatti raccontati, il primo ‘900. Tale prospettiva fiduciosa si ravvisava, ad esempio, anche nell’ugualmente magistrale “In nome della legge” di Germi del ’48, contro la mafia siciliana: forse motivata da quale apertura di speranza dopo la fine del fascismo e della monarchia, si è però mostrata perdente, dato che i fatti in Italia per oltre 70 anni hanno continuato a mostrare fortemente la vittoria della criminalità impunita. Si spera non per molto.
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