Regia di John Cassavetes vedi scheda film
“Nonostante tutti i miei isterismi, l’amarezza e la confusione dei miei sentimenti di allora, scrivere Faces è stato facile. Per metterlo per iscritto occorreva solamente la mia attenzione e il ricordo delle persone che mi avevano guastato la vita. Ne era risultato un trattamento incompleto di 215 pagine, un fuoco di sbarramento contro la classe media americana contemporanea, un’espressione di orrore nei confronti della nostra società in generale, incentrato su una coppia sposata, di indole antiquata e mentalità ristretta, al riparo della sua casa periferica. In Faces questa coppia, Richard e Maria Forst, si trova improvvisamente di fronte allo sfacelo morale esterno, da loro ammirato con tanta leggerezza. La sceneggiatura li pone di fronte a nuove situazioni, li trascina fuori della loro casa, rende trascurabile il valore del lavoro, li porta a scoprire sensualmente se stessi tra le braccia dei giovani, li libera dal conformismo della loro esistenza e li spinge a viva forza in un diverso contesto, quello di una nuova morale: le prostitute d’alto bordo, gli hippies e gli spacciatori, i pensieri nascosti e le reazioni dei loro amici quando cadono tutte le barriere.”.
[John Cassavetes - da Faces - sceneggiatura a cura di Al Ruban - A Signet Book, 1970]
Incipit: la saletta per le proiezioni di uno studio cinematografico. Produttori, finanziatori, distributori, executive e attori si apprestano a visionare un film:
“Che cosa ci vendi stavolta, Harry?”.
“Denaro!”.
“Un ottimo film, 'La dolce vita' dei film commerciali”.
“Davvero?”.
“Non insinuo che sia così grezzo”.
“Si è cercato di cogliere diversi approcci”.
“Jim vuol dire che ci siamo umiliati”.
“Non intendevo questo. Abbiamo discusso di fatti e cifre fino a diventare matti. Perdite, guadagni, previsioni: c'è da perderci la testa a forza di analizzarli”.
“Poi abbiamo finito con questo documento impressionista e scioccante”.
“Non è possibile”.
“Più che scioccante lo definirei onesto”.
“Sì, ma è un buon film!”.
“Non sappiamo come lo prenderai”.
“Non c'è niente di cui preoccuparsi: è uno sparo nel buio, ma è forte, è seducente”.
“Mi auguro sia meglio dell'ultimo. Potrei prestarti i miei sonniferi: soffro di insonnia, lo sai? Passo la notte a vedere film e a preoccuparmi per i film, vago dappertutto”.
“Vediamolo, J.P.”.
“Va bene, ma dobbiamo parlarne”.
“Ne discutiamo dopo”.
“Ok, vai!”.
Richard (John Marley) e Maria Forst (Lynn Carlin), sposati da 14 anni, sono una ricca coppia borghese di Los Angeles. Il loro matrimonio è in crisi, travolto da noia e routine: Richard trova, così, conforto tra le braccia di Jeannie (Gena Rowlands), una prostituta conosciuta insieme all'amico Freddie (Fred Draper) in un locale notturno, mentre Maria si lascia sedurre da Chet (Seymour Cassel), un giovane playboy con cui trascorre la notte dopo che con le sue amiche lo aveva incontrato in un night club e invitato in casa per proseguire la serata. Maria, però, a causa di un cocktail micidiale di alcool e sonniferi, rischia di morire, riuscendo a salvarsi soltanto grazie al tempestivo intervento di Chet. All'alba, Richard, rimasto tutta la notte in compagnia di Jeannie, torna a casa e scopre il tradimento della moglie: soltanto allora, tutto ciò che entrambi avevano fino a quel momento considerato come malessere o insoddisfazione, si trasforma nell'amara consapevolezza del proprio, reciproco, fallimento.
Uno degli straordinari capolavori di John Cassavetes, tra i vertici assoluti nella sua filmografia, realizzato nel 1965 dopo lo splendido esordio con Shadows e i due film diretti a Hollywood (Too Late Blues e Gli esclusi) e montato nell'arco di tre anni, fino all'uscita nelle sale nel 1968 in una versione drasticamente ridotta rispetto alle oltre tre ore iniziali di durata e alle circa trenta ore di materiale filmato: un sorprendente work in progress collettivo (nel senso di progetto intimo e ben definito dell'autore sposato - produttivamente, idealmente, attivamente - dalla “comune” cinematografica che lo affianca) e sperimentale, ambientato prevalentemente in interni (utilizzando, tra l'altro, la stessa abitazione di Cassavetes e Gena Rowlands), girato in 16mm con tre macchine da presa e incorniciato in un magnifico bianco e nero sporco e sgranato, con i produttori Maurice McEndree e Al Ruban che si occupano anche del montaggio e della fotografia. Ricorda Cassavetes (sempre dall'edizione citata della sceneggiatura di Faces): “Avendolo scritto in un’epoca in cui ritenevo che la sola forma di espressione libera per un attore fosse il palcoscenico, Volti aveva inizialmente la forma di una pièce teatrale. Poi ho deciso di fare un altro film per conto mio, evitando qualsiasi forma di aiuto finanziario o di ingerenza da parte di una grossa casa cinematografica, che avrebbe comportato il rischio di soffocare l’elemento creativo. Volevo fare un film che concedesse agli attori tempo e spazio per recitare. Perciò ho trasformato Volti in una sceneggiatura fatta su misura per le doti di alcune persone specialissime, capaci di trasformare la parola scritta in vita”. All'improvvisazione degli attori, perciò, è affidato il compito di animare sullo schermo questa chirurgica dissezione delle nevrosi dilaganti in un microcosmo umano ormai incosciente e malato (quelle “persone che mi avevano guastato la vita” di cui parla Cassavetes), puntata sulla profonda aspirazione all'indolenza e all'incompiutezza che segna la raggelante quotidianità in cui (soprav)vivono i loro personaggi. Volti, opera “in progress” anche drammaturgicamente (l'escalation della tensione emotiva), si volge, così, lucida e impietosa, all'alienazione dei sentimenti, alle fameliche pulsioni autodistruttive della società borghese (la presenza insistente, dalla strabordante fisicità, di alcool, fumo, sonniferi, “naturalmente” rigettati dall'organismo con tosse o vomito), all'ipocrisia e al gelo esistenziale in cui si (dis)torcono e marciscono le convenzioni istituzionalizzate (la crisi matrimoniale, infatti, non interssa soltanto i coniugi Forst, ma dilaga colpendo anche le loro coppie di amici), dissimulando allegoricamente (e retoricamente) nel simbolismo la felicità che i personaggi si illudono di “possedere” (le risate, sguaiate, liberatorie, spesso visibilmente forzate, sempre scatenate dallo sciogliersi - ancora l'alcool - dei freni inibitori, con cui sperano di esorcizzare la minacciosa presenza di quel baratro in cui stanno sprofondando). Il ritorno alla realtà - a un desiderio di realtà ideale - sarà inesorabile, crudele, inevitabile: il senso di precarietà che affanna ogni loro respiro, la disperazione che scolpisce i loro volti, la consapevolezza della fine imminente, si materializzano a poco a poco [in questo senso il “progress” drammaturgico] travolgendo corpi e coscienze - a cui si incolla la macchina da presa in un tripudio di movimenti rapidi e scattanti, nel delirio dei piani sequenza, nel gioco sfrenato delle oggettive/soggettive, nell'esaltazione della profondità di campo, nei tagli incalzanti del montaggio - fino a implodere dolorosamente nel magnifico finale che chiude il film, quando (metaforicamente), spazzate via dal vento del Castigo, le ceneri dell'american dream si disperdono nell'alba grigia di Los Angeles.
Le emozioni, i tormenti e ogni più intima e impercettibile vibrazione dei personaggi prendono vita sullo schermo grazie alla sorprendente esibizione del magnifico cast di interpreti, capeggiato da una deliziosa e indimenticabile Lynn Carlin nei panni di Maria (ruolo inizialmente previsto per Gena Rowlands, che però all'epoca era appena rimasta incinta e lo considerò fisicamente troppo impegnativo per il suo stato, ripiegando sul personaggio di Jeannie), che, senza alcuna esperienza di recitazione (era la segretaria di Robert Altman negli studi della Screen Gems), venne reclutata da Cassavetes tra le sue amicizie, come gran parte degli interpreti e delle maestranze, e da lui avviata a una lunga carriera tra cinema (Taking Off di Milos Forman e Uomini selvaggi di Blake Edwards, tra i suoi film) e televisione (Cannon, Medical Center, Ironside, Una famiglia americana, La donna bionica, L'incredibile Hulk, Barnaby Jones e Charlie's Angels, tra le moltissime serie tv a cui ha partecipato). Qui, insieme a Seymour Cassel (e alla sceneggiatura di Cassavetes), guadagnerà anche una nomination all'Oscar: entrambi candidati come migliori attori non protagonisti (mentre lo script di Cassavetes, che gareggiava, tra gli altri titoli, insieme a quello di Kubrick e Arthur C. Clarke per 2001: Odissea nello spazio e a quello di Pontecorvo e Franco Solinas per La battaglia di Algeri, dovrà scandalosamente arrendersi, come gli altri due illustri contendenti, al Mel Brooks di Per favore, non toccate le vecchiette), i due interpreti sfoderano una performance strepitosa, a cui si affiancano le prove superbe e vibranti di Gena Rowlands e John Massey.
Un capolavoro di selvaggia vitalità cinematografica, una fotografia appassionata e rabbiosa di uno sfacelo esistenziale talmente fuori dal (suo) tempo da divenirne paradossalmente, il più spietato e amaro de profundis possibile.
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