Regia di Stanley Kramer vedi scheda film
Nel 1948 a Norimberga, fu celebrato un processo contro alcuni giuristi tedeschi, accusati di aver collaborato a vario titolo con il regime nazista. Alla sbarra sono presenti quattro imputati, tra i quali, quello di maggiore spicco è il giudice e cultore di diritto Ernst Janning; li difende il giovane avvocato Rolfe; l'accusa è rappresentata da un ufficiale americano, la giuria è composta da tre membri, tra cui il protagonista Dan Haywood. Le cineprese seguono Haywood durante la sua permanenza a Norimberga, tra le aule e gli studi del tribunale, la grande casa in cui è alloggiato, di proprietà di una nobildonna vedova di un generale della Wehrmacht, e le strade della città tedesca, ancora ferita dalla guerra. Nel corso del racconto, emergono e sono trattati con compiutezza molti temi. Il primo è di carattere prettamente giuridico e riguarda le condotte degli imputati. Possono essi essere processati e giudicati, peraltro da un organo inesistente al momento degli eventi, per aver fatto rispettare quelle che, nel periodo dei crimini contestati, erano le leggi del loro paese ? Secondo la tesi sostenuta dall'avvocato difensore, la risposta è negativa. A sostegno di ciò, egli porta l'esempio dell'imputato più in vista, Janning, citandone la brillante carriera; tende inoltre a screditare il ruolo dei testimoni degli orrori nazisti, portati faticosamente in aula. E' proprio Janning a dar conferma di spessore morale e giuridico, scegliendo di intervenire in udienza, contro i suoiinteressi, nel momento in cui vede, nella stessa aula, e con attori in parte medesimi, replicati quegli schemi di giuridicità asservita all'ingiustizia, che è accusato di aver consentito. Egli ammette gli errori ed i misfatti commessi, legando però tali aberrazioni alla "ragion di stato". E', questa, una motivazione addotta da molti. La narrazione amplia il campo di indagine, studiando la società tedesca del primo dopoguerra ed il suo rapporto con il recente, turbolento, passato. La tendenza è quella di minimizzare, di negare un coinvolgimento diretto nelle azioni naziste. Così la signora Bertholt, la vedova del generale, la quale instaura un capzioso dialogo con il giudice Haywood. Essa, pur dichiarando di aver odiato Hitler, giustifica l'acquiscenza al regime adducendo la sua educazione militare, l'abitudine all'obbedienza, un elemento che sarebbe insito nell'animo di ogni buon tedesco. E' questa l'ultima carta "onesta" giocata dall'avvocato Rolfe, legare le responsabilità dei singoli a quella dell'intero popolo. Condannare i giudici sarebbe equivalso a condannare tutti i tedeschi. Una tesi, questa, sposata dalle autorità americane. Nel 1948, la conflittualità con l'Unione Sovietica raggiunse livelli preoccupanti. I rappresentanti delle truppe di occupazione statunitensi fecero pertanto pressioni al fine di ottenere una sentenza di assoluzione nei confronti dei giudici ritenendo che ciò avrebbe giovato ai rapporti con la popolazione civile, di cui era necessario accattivarsi la simpatia, nell'ottica di una eventuale prossima guerra. Nonostante le pressione, il giudice Haywood non perse di vista lo scopo della sua presenza a Norimberga. Magistralmente interpretato da Spencer Tracy, l'anziano uomo di legge, temprato da decenni di esperienza in un contesto che, seppur in scala molto inferiore, riproduceva parzialmente quello trovato nella città tedesca, non perse di vista l'oggetto del giudizio e si pronunziò per il carcere a vita. Una sentenza sostanzialmente accettata da Jannings, meno dagli altri imputati. Nonostante il reciproco rispetto, il giurista tedesco non potè contare sulla minima pietà da parte del suo omologo statunitense. Tanto più grave è la responsabilità quanto maggiore è la capacità di comprendere il male fatto. Ottime le interpretazioni non solo di Spencer Tracy, ma anche di Marlene Dietrich - la nobildonna decaduta - ansiosa di lasciarsi alle spalle un ingombrante passato; Burt Lancaster, Jannings, corroso dai sensi di colpa, eppure, forse, intimamente speranzoso di poter trarre un vantaggio dal proprio evidente pentimento; Maximilian Schell, l'avvocato difensore Rolfe, alla ricerca di un'assoluzione degli imputati per motivi di acritico patriottismo. Il film ha altresì funzioni di denunzia sociale. L'acquisizione di testimonianze nelle varie udienze ci permette di conoscere i pretestuosi motivi e le gravi conseguenze delle operazioni di sterilizzazione; i processi-farsa contro personalità ebraiche; ci mostra gli orrori dei campi di sterminio. Tutto ciò, in un clima sociale di negazione delle responsabilità. Il popolo tedesco guardava avanti, recuperava le sue tradizioni e la sua cultura, unendosi intorno ad esse come se il nazismo ed i suoi orrori fossero state nubi passeggere. L'esperienza, però, ci dimostra che non si dimenticò; ad ormai ottant'anni dagli eventi, gli ultimi testimoni viventi di quel periodo terribile hanno vaste platee di uditori; la realtà oggettiva è conoscibile da chiunque ne abbia interesse, tramite documentazioni di ogni natura. Non essendo un conoscitore della società tedesca, non posso dire quanto essa abbia saputo criticare il suo passato; tuttavia, gli ultimi decenni di storia ci mostrano come gli "anticorpi" generati da quei mali - cui possiamo aggiungere il quarantennio della DDR - abbiano saputo educare una vasta area d'Europa alla democrazia ed al rispetto dei diritti umani e fondamentali. Al di là delle ottime interpretazioni; al di là delle realistiche ambientazioni, di una città ancora echeggiante delle illusioni indotte dell'assolutismo nazionalista e dal loro tragico crollo, a suon di bombe ed esplosioni; al di là dei coinvolgenti dilemmi giuridici, in grado di tener viva l'attenzione per le circa tre ore di durata, nonostante non sia completamente fedele alla realtà storica (i giudici furono più di quattro), ed alle "consuetudini" della procedura penale (ho trovato improbabile che un pubblico ministero potesse essere anche testimone); ritengo che questo film abbia un imprescindibile valore di educazione e monito, ancor di più in un'epoca di tentazioni revisioniste; banalizzazioni e minimizzazioni di tragedie, le cui ferite sono ben lungi dall'essere guarite.
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