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Vincitori e vinti

Regia di Stanley Kramer vedi scheda film

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Dany9007

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Vincitori e vinti

di Dany9007
10 stelle

A mio avviso il film più rappresentativo e che si propone di esplorare la tragedia del Nazismo. Una volta tanto non ci si deve aspettare una pellicola che si fermi a rappresentare il dolore inferto alle vittime (nonostante una terribile sequenza di immagini reali relative alla liberazione di Dachau) e delle toccanti testimonianze di persone "colpite" dalla ferocia del Reich, piuttosto la pellicola cerca di esplorare un percorso ancor più complesso e delicato: cercare di comprendere cosa ha spinto una nazione civile, dei professionisti del proprio mestiere e cresciuti sotto dei dettami democratici, ad abbracciare ciecamente una dottrina spietata. 

La vicenda è inserita in una confezione impeccabile: una splendida fotografia mai monotona e che riesce a rendere ancor più cariche di tensione quasi tre ore di arringhe, interrogatori e controinterrogatori, il tutto ritmato da una colonna sonora che riprende alcune note canzoni tedesche (con un dovuto omaggio a Marlene Dietrich che accenna un canto, ed una spiegazione, a Lili Marleen) e reso ancor più avvincente grazie ad una serie di attori in stato di grazia come il premiato con l'oscar Maximilian Schell, brillante e cinico avvocato della difesa, ma anche l'ottimo Spencer Tracy, crucciato giudice consapevole di non essere un genio del diritto e a cui è toccato di presenziare in un processo tutto sommato "minore" rispetto a quelli dedicati ai grandi gerarchi nazisti, un tenace Richard Widmark nelle vesti del pubblico ministero. Ma forse risultano ancor più rivelatorie alcune parti secondarie, di pochi minuti che lasciano lo spettatore a bocca aperta: come dimenticare la testimonianza dello stravolto Montgomery Clift, nel ruolo di un cittadino sterilizzato con l'accusa di avere un quoziente non sufficientemente alto, e quindi a rischio di "inquinare" la razza. Accusa agghiacciante, dietro la quale si celava una ragione politica. O altrettanto toccante la storia raccontata di una irriconoscibile Judy Garland, coinvolta in uno scandalo sessuale ai danni di un conoscente ebreo. Infine è estremamente rivelatoria l'autoaccusa del personaggio interpretato da Burt Lancaster nel ruolo di Ernst Janning, un celebre giudice, nonchè membro del governo, inizialmente irremovibile nel non riconoscere nemmeno l'autorità del tribunale, che però si ravvede, ammettendo delle precise responsabilità, ossia di avere tali convizioni politiche da emettere sostanzialmente le proprie sentenze ancor prima di interrogare gli imputati, nonchè di essere a conoscenza del piano di sterminio intrapreso da Hitler, confessando che lo ignorasse solo chi non voleva vedere. 

Appare eccezionale anche la presenza di caratteristi, i quali, pur non avendo parti di rilievo fanno emergere tutte le contraddizioni di un periodo del quale alcune sfaccettature non sono ancora state poste in piena luce: si pensi alla coppia di domestici, probabilmente non del tutto ignari della presenza di un campo di concentramento poco lontano da casa, e che forse riconoscono che Hitler abbia fatto anche cose buone (come le autostrade), o l'affascinante figura della Dietrich, moglie di un gerarca che forse pensava di poter intenerire l'animo dell'anziano giudice. 

Infine non è da sottovalutare lo spessore più politico che  la pellicola assume nell'ultima parte: emergono infatti le pressioni fatte da parte dello Stato Maggiore nonchè dal mondo politico affinchè giudice e pubblico ministero considerino anche i potenziali rischi a cui condurrebbe una condanna troppo dura. Tenendo in considerazione quindi lo scenario geopolitico dell'Europa post bellica con gli aerei bombardieri che ora portano viveri e mezzi di sussistenza ai tedeschi. Agghiacciante l'ultima didascalia che riconosce come tutti gli imputati fossero già liberi al momento della realizzazione del film. 

In sintesi un film che offre uno stuolo di riflessioni, tutte di altissimo livello. 

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