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55 giorni a Pechino

Regia di Nicholas Ray vedi scheda film

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La recensione su 55 giorni a Pechino

di alan smithee
8 stelle

NICK'S MOVIES

Nell'anno 1900, in una Cina governata dalla scaltra imperatrice vedova Cixu, nota per il forte temperamento e le spiccate doti organizzatrici e manipolatrici, le numerose delegazioni straniere, per varie ragioni insediate in Pechino, si ritrovano esposte alla minaccia di un gruppo di rivoltosi considerati ufficialmente fuorilegge, conosciuti con nome di Boxer, animati da uno spirito nazionalista che li induce a comportamenti violenti ed estremisti contro tutti gli stranieri presenti in loco: dai commercianti e finanzieri, ai pastori di anime recatisi in loco con intenti di conversione e catechizzazione.

La situazione diventa sempre più critica quando le ambasciate degli otto paesi presenti nella capitale, si ritrovano costrette ad accogliere tutti gli stranieri rifugiatisi entro le rispettive sedi, o in ostaggio in qualche albergo internazionale, a rischio di linciaggi e stragi di massa.

La vicenda si circoscrive attorno a tre personaggi molto differenti tra di loro: un coraggioso maggiore della Marina Usa (il duro Charlton Heston), l'arguto e premuroso ambasciatore inglese, Sir Arthur Robinson (David Niven, perfetto più di chiunque altro per il ruolo da diplomatico e gentleman) che si prende carico della spinosa situazione, diventandone il portavoce ufficiale, e la bellissima baronessa russa Natalie Ivanoff (una Ava Gardner al top della sua bellezza senza eguali), fresca vedova invisa dal cognato e consorte per presunti scandali in sede ereditaria. Tra costei, ripetutamente sollecitata a lasciare quei luoghi pericolosi, ma divenuta pure lei ostaggio in balia della tesa situazione, ed il maggiore di cui sopra, nascerà una romantica storia sentimentale, che in qualche modo stempera la tesa e complicata situazione che vede inasprirsi i rapporti diplomatici tra il grande impero orientale e la cosiddetta "Alleanza delle otto nazioni", messi a repentaglio dal comportamento doppiogiochista della perfida Imperatrice.

Come ci trovassimo di fronte ad un'opera, o ad un balletto, il film, sontuoso e girato con grandi mezzi e disponibilità, grandioso nelle scenografie e nella potenza delle sue spettacolari inquadrature, si apre con una "overture" musicale, che viene poi ripresa nell'"intermezzo", ad opera del celebre musicista russo-ucraino più volte premio Oscar, Dmitrii Tiomkin.

Nicholas Ray dirige in questa occasione, con la consueta massima padronanza di stile, il suo ultimo film a largo budget, e si rende responsabile di un riuscito e sfarzoso progetto, che accusa solo, qua e là, un certo manierismo nella un po' approssimativa e fortemente occidentalizzata rappresentazione della laccata e sin troppo eccessivamente folkloristica dei personaggi a corredo della corte imperiale cinese (il primo ministro e consigliere, il servile e infido Tuan, è una macchietta dai tratti piuttosto ridicoli e faciloni). Interpretati tra l'altro da attori europei: l'imperatrice Cixu è qui resa dall'attrice britannica Flora Robson McKenzie, come pure l'accennato principe Tuan, qui affidato al truccatissimo attore australiano naturalizzato britannico Robert Helpmann.

Ne scaturisce un film più perfetto stilisticamente che a livello di cuore e di epidermide: la costruzione delle imponenti scenografie, gli evidenti sforzi produttivi e la confezione lussuosissima, lo rendono senza dubbio un prodotto impeccabile all'occhio, ma un po' meno sensazionale dal punto di vista intimo, sin troppo impermeabile o refrattario a suscitare genuini sentimenti e sincera partecipazione; sentimenti od emozioni che una costruzione così formale finisce inevitabilmente per rarefare in capo probabilmente a molti spettatori. 

   

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