Regia di Patrice Chéreau vedi scheda film
I francesi, si sa, sono ammalati di sciovinismo e di grandeur. L'inverno scorso sono andati in massa alla guerra del Gatt, per difendere il loro cinema dall'invasione americana. Una guerra un po' stolida, come ha ripetuto un autore che da molti anni lavora proprio in Francia: Roman Polanski, che ha detto che gli europei, se facessero film migliori, non avrebbero ragione di temere il cinema americano. Almeno (a differenza dei colleghi italiani che si sono subito aggregati all'indignazione) i francesi hanno il senso del cinema (del buon cinema) e un sacco di autori capaci di commuovere e inventare. Peccato però che, quando devono inalberare fiori all'occhiello, invece delle ultime opere di Assayas, Rohmer o, magari, di Kieslowski e Polanski, scelgano sempre dei film "monstre", indicibilmente lunghi, chiacchierati, pomposi. E tratti dai Grandi Padri della Letteratura, come se un grande romanzo facesse per forza un grande film, e non (come accade di solito) il contrario. Nell'86 è toccato a Marcel Pagnol con Jean de Florette e Manon delle sorgenti, 302 minuti senza un'oncia dello spirito di Pagnol. L'anno scorso è toccato a Zola, con Germinal, ancora con Depardieu e di Berri. Ed ecco quest'anno Alexandre Dumas con La regina Margot, kolossal del sangue, della passione e della ragion di stato, coprodotto da Francia, Germania, Spagna e Italia e costato svariati miliardi, presentato al festival di Cannes, dove ha guadagnato un premio. Onore al merito, un premio giusto all'interpretazione di Virna Lisi (una Caterina de' Medici fredda e intrigante), l'unica nel cast che sembra recitare. Gli altri, infatti, vanno dall'aperto imbarazzo di Auteuil e di Anglade (che di solito sono bravi) all'inconsapevole gigionismo di Miguel Bosè, Claudio Amendola, Asia Argento (tutte caricature di borgata trasposte nella Francia del Seicento). E peggio di tutti, Isabelle Adjani, bella come una porcellana cinese, splendente come a 18 anni, ma ormai capace di una sola espressione: attonita. Quanto alla regia, Patrice Chéreau è sempre stato un ottimo metteur en scène teatrale e un pessimo regista cinematografico: non ha ritmo, senso del dramma, inventiva, e si gioca tutto su un malinteso senso dell'Arte, quella con la A maiuscola. Ma le sue grandi scene (il matrimonio, la strage notturna) hanno il sapore imbarazzante dei gelidi affreschi mortuari di Greenaway filtrati attraverso le pagine di una rivista patinata.
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