Regia di David Cronenberg vedi scheda film
Reduce dal fallimento di un ambizioso progetto con Dino De Laurentis riguardo a una trasposizione cinematografica del racconto Ricordiamo per voi di Philip K. Dick intitolato Total Recall e naufragato per motivazioni finanziari (verrà poi realizzato ma da Poul Verhoever per la Coralco nel 1990) il regista David Cronenberg veniva dall’apprezzata trasposizione di un romanzo di Stephen King (la Zona Morta) e dall’insuccesso commerciale di un capolavoro come Videodrome, datato 1982, quando fu chiamato a realizzare il remake dell’adattamento cinematografico del 1958 conosciuto in italia con il titolo de L’esperimento del Dottor K e tratto a sua volta dal racconto Le Mouche scritto nel 1957 da George Langelaan.
Dopo tutto Cronenberg era conosciuto soprattutto per pellicole come Il demone sotto la pelle (1975), Rabit, sete di sangue (1977), Brood (1979) e Scanners (1981) che facevano di lui il candidato ideale per dirigere il rifacimento di un classico del genere horror come il film diretto originariamente da Kurt Neumann.
Quando salì a bordo del progetto la sceneggiatura, scritta da Charles Edward Pogue, era già pronta da tempo ma Cronenberg, per prima cosa, mise mano proprio a questa, rielaborandola completamente, mantenendo intatta solo la premessa iniziale ma gettando via tutto il resto, riscrivendo completamente i personaggi, rinnovandone i dialoghi e proponendo, adattandole, tematiche e argomentazioni a lui più congeniali.
Quello che ne risulta è un film completamente nuovo, solo vagamente ispirato al racconto di Langelaan e al suo adattamento cinematografico del 1958, tanto che il termine remake gli risulta decisamente stretto in quanto in realtà rappresenta una totale reimmaginazione di un scenario prettamente da fantascienza anni’50.
Uscito il 15 Agosto dell’86 e prodotto dalla Brooksfilms, la società di Mel Brooks produttore anche dell’Elephant Man di David Lynch, La Mosca rimane ad oggi uno dei più grandi successi commerciali del filmmaker canadese e il primo (e probabilmente unico) blockbuster di Cronenberg della sua carriera, non solo per il successo registrato al botteghino ma anche per la perfetta mescolanza di elementi di genere, dal fantastico all’horror per sfociare infine anche (soprattutto) nel melodramma, e riuscendo a vincere anche un premio Oscar per il miglior trucco.
David Cronenberg ha descritto la sua opera come una “commedia romantica”, e per quanto possa essere interpretata anche come una boutade in realtà tale affermazione è molto più precisa di quanto voglia far intendere l’ironia del suo regista, in quanto l’amore è un elemento fondamentale di un film che prima di tutto è davvero una storia d’amore, con un suo inizio romantico, una sua malsana evoluzione e con la sua melodrammatica fine.
O per dirla con le sue stesse parole “è una metafora sull’invecchiamento, la condensazione di una storia d’amore di anni che termina con la fine prematura di uno dei due amanti”.
Il film si può dividere nei classici tre atti nel quale nel primo ad emergere è una storia d’amore quasi tradizionale tra un timido scienziato socialmente impacciato e una bellissima giornalistica che si incontrano e nel quale, per un qualche motivo, scatta la classica scintilla.
Nel secondo atto la storia d’amore inizia a complicarsi (dal passato compare un ex che forse non intende affatto rimanere tale) e l’inesperto scienziato (almeno in temi d’amore) commette diversi errori che ne complicano ulteriormente il rapporto, anche per il sorgere delle sue nuove capacità che lentamente iniziano a trasformarlo anche psicologicamente.
In questo caso a svilupparsi è soprattutto il melodramma e il fantastico seppur con diverse venature macabre.
Nel terzo e ultimo atto il dramma raggiunge il suo apice addentrandosi maggiormente nei territori dell’horror più tradizionale, tra effetti gore, sangue e vari escrementi organici e la comparsa finale dell’insetto gigante.
All’uscita del film la lettura più frequente da parte della critica internazionale era riguardo a una personalissima metafore sul virus del’AIDS che imperversava in quegli anni.
In realtà Cronenberg è andato molto oltre a questo.
Il soggetto infatti permette al regista l’occasione di reinterpretare l’incubo kafkiano della metamorfosi piegandolo a un nuovo tassello della sua visionaria filosofia sulla trasfigurazione del corpo umano, che nella pellicola si traduce in un esplicito conflitto tra la natura umana e quella animale che alberga in ognuno di noi, tra la ragione e l’istinto, tra scienza e libertà dai vincoli (anche della scienza stessa) e che sfocia infine nel delirio onirico del suo protagonista, vittima volontaria di un progresso rivoluzionario che soltanto lui riesce a vedere a da cui viene fagocitato/trasformato, rendendolo più un profeta visonario che non uno scienziato (per quanto folle), ma rendendolo anche simbolo dell’avidità e dell’ignoranza dell’uomo che, in nome del proprio successo e/o del proprio ego, arriva a trasfigurare anche la scienza per il proprio piacere edonistico.
E’ l’amore nella sua accezione più carnale, infatti, quella più fisiologica e possessiva (ovvero la gelosia) a spingere lo scienziato, in un moto di rivalsa verso il suo antagonista in amore, a sperimentare su se stesso la sua invenzione, accantonando qualsiasi senso di ragionevolezza e mettendo a rischi la sua stessa sicurezza, nel tentativo di ripristinare così il proprio status di maschio “alpha” messo a rischio dal rivale e a tentare, anche con le nuove capacità acquisite dopo la trasformazione, di riconquistare o, meglio ancora, di “riappropriarsi” di quanto crede gli sia stato sottratto, fino alle sue più estreme conseguenze.
Il successo del film però è anche consequenziale all’ottimo lavoro svolto dagli attori, a partire da un attore di “metodo” come Jeff Goldblum totalmente calato nella parte a capace di rendere appetibile dal grande pubblico un personaggio sfuggente e (spesso) respingente come lo scienziato Seth Brundle a cui contribuisce anche la grande chimica con la sua partner Geena Davis (partner non solo di set ma anche, ai tempi, nella vita reale).
Come terzo lato del triangolo abbiamo invece John Getz, attore veterano soprattutto in ambito televisivo.
Nota: Il film ha anche avuto un sequel nel 1989 diretto da Chris Wales su cui però è meglio stendere il classico velo pietoso.
VOTO: 8
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