Regia di Luca Guadagnino vedi scheda film
Call Me by Your Name è un film languido ed intenso sullo sbocciare di un sentimento, ma anche sulla poesia della giovinezza, quando tutto è nuovo ed un numero indefinito di possibili percorsi si apre davanti a te. Questa storia di un amore estivo e della crescita di un adolescente è tutta atmosfera, tono rarefatto e sfumature.
Avevo amato molto il romanzo di André Aciman sullo sbocciare del desiderio e della passione di un diciassettenne ed un giovane ricercatore universitario americani in vacanza sulla riviera ligure durante un’estate italiana degli anni 80, e devo dare merito a Luca Guadagnino di aver saputo rendergli giustizia sul grande schermo. La storia, i personaggi, il cast e la produzione sono internazionali, ma il tocco di un regista italiano ci evita le trite rappresentazioni stereotipate e da cartolina del nostro Paese e ci restituisce invece un ritratto autentico dell’Italia di un’estate di trent’anni fa, pur trasportando l’ambientazione in una villa di campagna nella Pianura Padana.
Il suo "Call Me by Your Name", sceneggiato da James Ivory, è un film emozionante e straziante sul primo amore, ma anche sulla poesia della giovinezza, quando tutto è nuovo ed un numero indefinito di possibili percorsi si apre davanti a te. Questa storia d'amore e di crescita è tutta atmosfera, tono e sfumatura. Sapori, colori e paesaggi del Nord Italia anni 80 si susseguono a ritmi languidi e studiatamente lenti. Sì, alcune cose accadono, ma, per la maggior parte, questo è un film su un tempo, un luogo e una storia d'amore.
Guadagnino ed Ivory sanno infondere un tono rarefatto e piacevolmente estenuante all’esplorazione delle dinamiche tra i due protagonisti che si avvicinano a poco a poco, in cerchi sempre più stretti, in un momento che viene espanso dalle scelte narrative, ma che è in realtà fugace, come quella singola estate del loro incontro. Da questo languido incedere il film sa far scaturire tutta la bellezza che è elemento centrale in questa storia: quelle delle antiche statue che riaffiorano dalle acque del Lago di Garda, quella del corpo muscoloso di Oliver (Armie Hammer) ammirato mentre gioca a pallavolo, quella della natura e dei borghi di un’Italia realistica ma magica, quella della musica e della letteratura che riempiono le esistenze del milieu intellettuale, quella della giovinezza di Elio (Timothée Chalamet) e del suo desiderio puro e prepotente.
Parte fondamentale nella ricostruzione dell’atmosfera la gioca anche la colonna sonora di brani ricercati dell’epoca, a cui si aggiunge l’inedita ipnotica “Visions of Gideon” di Sufjan Stevens sull’intenso finale.
Guadagnino azzecca in pieno anche il cast: se Armie Hammer cattura perfettamente il fascino sicuro di sé di un giovane dalla mente brillante e dalla fisicità attraente e Michael Stuhlbarg tratteggia un padre empatico e lungimirante, la performance più emozionante appartiene a Timothée Chalamet: il suo ritratto di adolescente, pieno di inesperienza e confusione, amore e rabbia, gioia e crepacuore, è stupefacente fino all’intensità del primo piano finale.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta