Regia di Luca Guadagnino vedi scheda film
Un ottimo film questo "Chiamami col tuo nome": Luca Guadagnino è maturato come regista dai tempi di "Io sono l'amore", riesce qui a mettere da parte certe scorie estetizzanti e a mettersi completamente al servizio della storia narrata con uno stile delicato e al tempo stesso raffinato di derivazione bertolucciana, che sa narrare il desiderio senza compiacimenti morbosi e con eleganza visiva. E' un film di impronta letteraria, naturalmente, tratto da un romanzo di successo dell'americano di cultura ebraica Andre Aciman, ma la sceneggiatura di James Ivory non eccede in verbosità, sa costruire un romanzo di formazione sentimentale strutturato su sequenze spesso sapientemente allusive, dove il regista riesce ad inserire un tocco leggero e a far vibrare di emozione piccoli gesti, piccoli sguardi. Elio conosce Oliver, assistente universitario del padre, ne rimane affascinato durante il soggiorno del giovane presso la sua famiglia nella campagna lombarda dei primi anni Ottanta, non sa come farsi avanti ed esplicitare il suo sentimento, e quando riuscirà a farlo sarà forse troppo tardi: l'approdo di questo itinerario sarà una cognizione del dolore che si esprime in un piano sequenza finale straziante, dove il volto del protagonista Timothee Chalamet è ripreso in maniera frontale per lunghi minuti, con un effetto cumulativo di indubbia potenza emotiva. Se nel rapporto fra Elio ed Oliver il film non sbaglia praticamente nulla, se il monologo della scena che precede il finale, affidato a Michael Stuhlbarg, è molto toccante e intenso, forse nella rappresentazione dei personaggi italiani (fra cui l'aspirante fidanzata di Elio Marzia) Guadagnino non sempre ritrova la stessa felicità descrittiva, e certi dialoghi che rimandano un po' a "Stealing beauty" di Bertolucci lasciano il tempo che trovano, ma nel complesso il bilancio dell'opera è nettamente positivo. Arricchito da belle canzoni di Sufjan Stevens, fotografato in un'ammaliante cromatismo da Sayombhu Mukdeeprom, il film si affida ad interpreti capaci di restituire con molta precisione il vissuto interiore dei personaggi, soprattutto il giovane Chalamet che è una rivelazione, ma anche Armie Hammer è molto più incisivo di quanto lo ricordassi ad esempio in "J. Edgar" di Eastwood, e Stuhlbarg con pochi tratti rende memorabile la figura del padre. Un successo internazionale meritato, insomma, per un film che di italiano ha solo lo sfondo e poco altro, ma che fa comunque onore al nostro paese e lascia ben sperare per il futuro del regista.
voto 8/10
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta