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C'era una volta in America

Regia di Sergio Leone vedi scheda film

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La recensione su C'era una volta in America

di FilmTv Rivista
10 stelle

Se la Storia del Cinema venisse per sbaglio cancellata dalla memoria del mondo, una proiezione di C’era una volta in America basterebbe a riportarla in vita per intero. Sarebbe sufficiente che Noodles/Robert De Niro accostasse gli occhi a quel buco nel muro del bagno e rivedesse, circonfusa di farina e d’amore, Deborah/Jennifer Connelly danzare su Amapola: ci ricorderemmo tutti di colpo cos’è il Cinema e perché è stato inventato. Opera sterminata che gioca con il Tempo e la Memoria (di un uomo e di un Paese), l’ultimo capolavoro di Sergio Leone ha avuto un destino beffardo: il Tempo ha giocato con lui, portandoci, a quasi 30 anni di distanza dalla sua creazione, una (ennesima) versione dal montaggio inedito, nel cui tessuto sono state ricucite (grazie all’abile lavoro dell’Immagine Ritrovata di Bologna, con il finanziamento di Gucci e della Film Foundation di Martin Scorsese) 6 sequenze tagliate dall’edizione europea del 1984. Ventisei minuti in tutto: poca cosa, in confronto alla durata epocale del film, che pure, attraverso i segni inevitabili che il tempo ha lasciato sulla pellicola, sono in grado di rendere anche più grande un’opera gigantesca. Aggiungendo significato e peso ai temi che attraversano e inondano C’era una volta in America: la Morte, innanzitutto, incarnata ora dall’apparizione surreale di Louise Fletcher, impeccabile direttrice del cimitero che dialoga con il vecchio Noodles suggerendogli di cominciare a progettare il suo loculo. Il rapporto fatale tra Realtà e Finzione, ribadito dal segmento che vede Deborah («il tempo non può invecchiarla») sul palcoscenico, il volto imbiancato di cerone nei panni di Cleopatra, l’aspide guizzante tra le mani. Ma soprattutto (in quello che crediamo sia, tra le pieghe del più bel gangster movie di sempre, il più bel mélo di sempre), l’Amore: il più prezioso fra i nuovi segmenti rattoppa il buco tra la devastante scena dello stupro nell’automobile e la partenza di Deborah sul treno, nel 1933. Lì in mezzo ecco comparire la notte alcolica e autodistruttiva di Noodles, che conosce la platinata Eve e, dolorante, la paga non per fare sesso ma per poter chiamarla Deborah. In tutto i minuti diventano 255: per ogni cinefilo che per troppi anni è andato a letto presto.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 45 del 2012

Autore: Ilaria Feole

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