Regia di Sergio Leone vedi scheda film
'C'era una volta in America', tratto dal romanzo 'Mano armata' di Harry Grey, è il film-testamento del maestro Sergio Leone che, cinque anni dopo l'uscita, morì improvvisamente lasciando alcuni progetti incompiuti, come ad esempio quello sull'assedio di Leningrado oppure 'Un posto che solo Mary conosce'.
Uscito nel 1984, vede le sue radici negli anni appena successivi a 'Giù la testa' del 1971 e si avvale di cinque sceneggiatori oltre a Leone stesso, che sviluppano una complessa vicenda ambientata nella malavita di etnia ebraica del Lower East Side di New York, in un arco di tempo che va dal 1922 al 1968, suddivisa in quattro periodi - appunto 1922, 1932, 1933 e 1968 - strutturati con un ampio uso di flashback e flashforward.
I temi sono quelli tipici dell'autore romano, come l'amicizia, il tradimento, la lealtà, la fedeltà, la violenza, lo scorrere del tempo, sullo sfondo di un contesto storico ben preciso e delineato, in questo caso l'America del Proibizionismo, ma ciò che fa di quest'ultimo suo film un capolavoro anche superiore ai pur altri grandi film precedenti è l'impeto, la generosità, l'amore del regista per la settima arte che traspare dalla costruzione di ogni singola inquadratura e sequenza, che possono essere viste, in seconda lettura, anche come un omaggio sia ai classici del gangster movie del passato, sia all'America, più però quella dei suoi sogni che reale.
I toni sono epici, i tempi sono dilatati ma non c'è mai un attimo di pausa e ogni scena è essenziale e brilla di luce propria anche se estrapolata dal contesto.
Va dato merito, per la riuscita dell'opera al prezioso ed immane lavoro del montatore Nino Baragli, alla minuziosa scenografia di Carlo Simi, al direttore della fotografia Tonino Delli Colli che, grazie alle sue luci, dà alla storia una dimensione dai contorni onirici nonché alla colonna sonora del fido Morricone, che identifica ciascun personaggio principale con un tema musicale diverso.
E' un film costruito sulla coralità degli interpreti, dai quali spicca ovviamente un sensazionale Robert De Niro, nel ruolo di Noodles, gangster idealista e, a suo modo, leale ma anche ingenuo, perennemente innamorato di Deborah(Jennifer Connelly da bambina e Elizabeth McGovern da adulta) - fredda calcolatrice, più interessata alla carriera che a lui - sempre pronto a gettarsi in soccorso dei suoi amici anche a costo di rimetterci dieci anni della sua infanzia in galera - una toccante scena di lui che entra nel penitenziario ricorda, come giustamente ho letto, l'arresto di Antoine Doinel ne 'I quattrocento colpi' di Truffaut - e perdere tutto quello per cui si era battuto. Sua la battuta più bella del film quando, rispondendo al gestore del locale e fratello di Deborah, 'Fat' Moe che gli chiede, dopo il suo ritorno a 35 anni di distanza, ''Cos'hai fatto in tutti questi anni?'' afferma in maniera laconica ''Sono andato a letto presto''.
Da evidenziare poi le maiuscole prove di James Woods, che tiene testa al grande Bob nella parte di Max, prima suo braccio destro ma poi vera guida e mente della gang - divenuta nel tempo una vera organizzazione - e, alla fine, addirittura un senatore sotto falso nome con l'acqua alla gola che svela tutti i suoi sotterfugi nella scena finale, che sancisce la fine della loro amicizia; Elizabeth McGovern, la risoluta Deborah da adulta, il 'sogno' e l'amore idealistico ed incompiuto di Noodles; Tuesday Weld, amante, anch'essa abbandonata da Max; infine in ruoli brevi ma incisivi sono da ricordare Burt Young, un gangster italoamericano che fa una brutta fine, James Russo, il 'rivale' giovanile dei ragazzi e Danny Aiello, un poliziotto messo alle strette dalla banda.
L'inquadratura finale, con Noodles che, inebetito nella fumeria d'oppio, sorride guardando in macchina, è stata definita 'il sorriso più bello della storia del cinema'.
Voto: 10 (visto nella extended version restaurata nel 2012).
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