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C'era una volta in America

Regia di Sergio Leone vedi scheda film

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La recensione su C'era una volta in America

di alan smithee
10 stelle

E' un lunedi sera come tanti, e il Paese s'accinge a trascorrere, nell'intimita' delle proprie famiglie, la solita serata di zapping televisivo tra le centinaia di proposte delle centinaia di canali che un digitale terrestre, mai richiesto né agognato, ci propone ogni momento senza un attimo di tregua.
In sala, spettacolo unico ore 20, proiettano la versione integrale dell'ultimo capolavoro di Sergio Leone, gia' visto almeno un paio di volte, ma mai in sala (all'epoca, lo ammetto senza vergogna,  neanche sedicenne ma gia' piuttosto interessato alle meraviglie della settima arte, preferivo candidamente lo 007 di Roger Moore).
Spettatori in sala: due.
Due sfigati, verrebbe indubbiamente da pensare, ma quando le tenebre finalmente rivestono le pareti della sala, distogliendoci da un imbarazzo piu' teorico che effettivo, e le immagini cruente di una esecuzione a sangue freddo ai danni della bionda amante di Noodles da parte di tre sicari senza pieta' che vogliono far fuori il nostro protagonista, nascosto e rilassato tra i fumi dell'oppio nel teatro cinese, a quel punto non abbiamo dubbi: stiamo vivendo un capolavoro tutto per noi, in una sala magnifica tutta per noi.
Ed io, posizionato in centro sala, piuttosto avanti come e' mia abitudine, mi godo senza un attimo di tregua o cedimento le quattro abbondanti ore di una epopea che sapevo meravigliosa, ma che vissuta sul grande schermo mi riempie il cuore di emozioni.
Scene madri indimenticabili con ricostruzioni in studio di esterni con sfondi portuali e l'enorme ponte che sovrasta i quattro piccoli eleganti gangsters ormai piccoli padroni di se stessi, dinoccolati e sgambettanti; la nota scena della pasta alla crema portata per ripagare una prestazione sessuale da uno dei quattro ragazzi, troppo ingordo per rinunciare a quel dolce fantastico in cambio di un piacere ancora troppo vago e non ben conosciuto. Ma ancora come scordare il volto perfetto di Jennifer Connelly, deliziosa ballerina in odore di ascesa artistica che la portera' lontano, troppo lontano dal suo Noodless; questa è la prima di una serie di parti femminili di rilievo di un'epopea in cui forse davvero per la prima volta il grande regista si prodiga a riservare ruoli, magari non principali. ma certamente fondamentali alle diverse e riuscitissime figure femminili presenti in tutta la vicenda.
Non finiremmo piu' se dovessimo citare tutte le scene da ricordare, a cui si aggiungono le parti ritrovate ed in qualche modo ricucite, alcune davvero fondamentali e preziose come il dialogo tra De Niro e l'autista che precede lo stupro di Elizabeth McGovern.
Certo e' che quando un autore di tale calibro ci lascia cosi' prematuramente, tra l'altro, come in questo caso, con una manciata di titoli che sono certo pochi, ma tutte colonne portanti del cinema nella sua massima forma ed espressivita' - e proprio un autore come lui pieno di progetti grandiosi da sviluppare - ci viene inevitabile pensare (mi e' successo pure in seguito con la morte di Kubrick, ma e' un discorso che si presta ad essere esteso a tutti i geni portati via prematuramente - pensate a Mozart) quali altri capolavori inestimabili avrebbe potuto regalare al corso del tempo e della storia umana, se qualcosa o qualcuno avesse potuto fermare quel destino ineluttabile del quale continuiamo ad esser succubi.  
Ma vista l'inevitabilita' degli eventi, di quelli che ancora come questi non riusciamo a controllare,  meglio vivere l'emozione del momento e perdersi letterarmente in quelle quattro ore di sogno americano, convincendoci sempre piu'  (anche se sappiamo che e' solo una coincidenza) che l'ultima sequenza del film, quella con De Niro-Noodles strafatto dai fumi che guarda prima atono l'obiettivo, poi ci sorride estatico, ironico e quasi strafottente, sia l'ultimo ironico istante cinematografico di un maestro ineguagliato che alla fine ci vuole dimostrare come tutta quella complessa ardita ricostruzione temporale, fatta anche di flash back complessi ma calibratissimi, non sia altro che il sogno ad occhi aperti di un uomo qualunque con un po' di vivida immaginazione e adeguati stimoli per far lavorare la mente. In questo caso il cinema diventerebbe il piu' bell'inganno che ci si possa aspettare da una vita che inevitabilmente non potrebbe regalarti così tante emozioni, non certo in cosi' poco tempo: quattro ore di sensazioni forti vissute in solitudine cosciente ma non deliberatamente cercata, da eremita orgoglioso, padrone incontrastato di una sala vuota tutta per te ed il "tuo" capolavoro.

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