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C'era una volta in America

Regia di Sergio Leone vedi scheda film

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La recensione su C'era una volta in America

di Antisistema
10 stelle

Le lancette scandiscono lo scorrere dei minuti e delle ore, nel cui intervallo avvengono azioni, fatti o anche semplicemente nulla. Il movimento antiorario dell’orologio, porta via con sé anche una frazione di tempo, inesorabilmente persa per sempre e mai più recuperabile, se non nella dimensione del ricordo.
Dalla “trilogia del dollaro”, in cui l’accumulo di banconote dettava la scalata al potere, alla “trilogia del tempo”, dove lo stile di Sergio Leone, si fa metafisica dello scorrere della vita e delle epoche, facendo sentire i personaggi al di fuori del contesto in cui si trovano.
“C’era una Volta in America” (1984), chiude la carriera di Leone, morto prematuramente a 60 anni, condensando al proprio interno tutto il suo cinema, in una dolente elegia di 251 minuti - versione director’s exended cut dalla cineteca di Bologna nel 2012, che reintroduce nel girato 7 sequenze restaurate -.
Attraverso una labirintica struttura narrativa non lineare, ambientata nella New York tra il 1920 ed il 1968, Leone fonde i canoni dei film di gangster con i toni da romanzo di formazione, seguendo il percorso drammatico percorso criminale di David “Noodles” Anderson (Schutzman Tiler/Robert De Niro) ed i suoi amici, in un anti-kolossal intimista, che mette in scena l’elegia del cinema classico, conseguente all’involuzione critica del sogno americano, contaminato da una malavita organizzata oramai fusa appieno con la politica.
Stessa città, medesime strade, identici locali. Ciò che il tempo ha cambiato, risiede nell’atmosfera di questi posti. Quella non ritornerà mai più. Tutto è intriso di un senso mortifero, nonostante le lapidi dei defunti vengano traslate dal terreno vicino la vecchia Sinagoga.
Tra i fantasmi viventi del presente - almeno chi ha avuto la fortuna di arrivarci -, si scorgono nei pertugi degli edifici, gli spettri di un’epoca trapassata.
S’intravede l’amore di una vita, la bella Deborah Gelly (Jennifer Connelly/Elizabeth McGoven) mentre sogna la vetta per mezzo della danza, provando i passi tra i sacchi di farina ed i compagni di un tempo con cui si condivideva la vita in strada sopravvivendo con piccoli furti vari.
Sono gli amici dell’adolescenza, quelli che non ci si scorda mai, anche se perse le tracce. Qualcuno di loro non è mai divenuto un adulto ed altri ancora non ce l’hanno fatta ad invecchiare, come invece è accaduto ad un Noodles, colto dal rimorso per non aver potuto salvarli, de-cristallizzandoli dalla dimensione a-temporale del ricordo. Uno tra tutti rappresenta il rimpianto più doloroso; “Max” (Rusty Jacobs/James Wood), mosso da ambizioni più elevate, pericolose e spregiudicate. Inseguire una nuova idea di criminalità, all’insegna di un connubio con la politica, facendo propria l’idea di evoluzione e di grandeur, del ponte di Manhattan che campeggia imponente sullo sfondo dell’Lower East Side.
A Leone si potrebbe rimproverare di mostrare una criminalità anti-storica, mai esistita nei fatti, nel mezzo degli slanci d’amicizia di Noodles, pregni di un altruismo disinteressato al di fuori di ogni logica criminale. Molto lontano dalle visioni infernali, presenti nelle opere gangster di Scorsese oppure dagli intrecci economico-politico-criminali mostrati nella saga del “Padrino” di Coppola.

 

scena

C'era una volta in America (1984): scena


L’impalcatura epica della pellicola leoniana, non risiede nella volontà di ricostruire l’evoluzione della mentalità criminale lungo lo scorrere dei decenni, quanto assemblare i frammenti delle immagini attraverso i ricordi sbiaditi di Noodles.
La mente persa tra i fumi alienanti dell’oppio, restituisce inizialmente dei flash disconnessi ed imprecisi, dove il martellante squillo del telefono risulta essere non sincronizzato con il contesto.
Allucinazione da troppo oppio oppure flashback di una mente sconnessa? “C’era una Volta in America” vive di questi squilibri ed incongruenze nella sceneggiatura, dovuti alla scelta di far prevalere il mito sulla realtà, da sempre marchio nel cinema di Leone, perché anche nei celebrati spaghetti western, nonostante ritratto della frontiera più sporco e brutale, sfuggiva da ogni pretesa di realtà, nelle infinite attese prima dei duelli tra i pistoleri
Dimensione a-temporale, portata alle estreme conseguenze nell’ultima pellicola del regista, tramite il procedimento del disseppellimento dei ricordi, che restituiscono una percezione soggettiva del vissuto.
La dittatura della scrittura - retaggio marcio dell’imperante serialità odierna -, andrebbe distillata con la politica dello sguardo. Quella che appartiene solo ai “movie-maker”. Il senso ultimo della pellicola lo si trova nei tanti “tempi morti” insignificanti, tipo il piccolo “Patsy” mentre combatte la fame, mangiando pezzo per pezzo quel dolce con cui voleva “pagare” un rapporto sessuale; il cucchiaio girato nella tazzina per un tempo infinito oppure nella sgradevole, quanto necessaria nella sua dolorosa insostenibilità -, scena di stupro da parte di Noodles ai danni di Deborah, sporcando il sogno puro di una vita, con un atto marcio. 
Leone aderisce allo stato soggettivo della percezione interiore del tempo del protagonista, accompagnato dalle note di Ennio Morricone, che amplificano il senso ultimo di trapasso di un’epoca, nel dolente canto senza voce di Edda dall’Orso.
Negli incastri dei flashback e flashforward, dove si scorgono rimembranze proustiane, gli incastri perfetti costruiscono un’opera coerente nelle sue assonanze e rimandi nelle immagini, che passano da toni crudi a triviali, passando per il grottesco sino all’elegiaco, in un culmine espressivo dal dichiarato amore per un cinema classico americano, oramai al prossimo trapasso.
Il respiro morente viene estratto dai toni di bianco, catturati dalla fotografia del fidato collaboratore del regista Tonino Delli Colli, plasmando immagini dai contorni onirici, che a poco a poco formano il focus della scena, generato dalle rimembranze sempre meno opache di Noodles.
In quell’a-temporalità cronologica - ma infine anche spaziale -, sceglie di rifugiarsi, chi è stato un vero amico. Tutto fino all'ultimo istante filmico, per respingere il mondo presente e non veder smarrire, tra spettri riesumati e fantasmi cristallizzati - Deborah è l’unico personaggio a non mostrare segni fisici di invecchiamento -, l’unica cosa rimasta; i ricordi.

Robert De Niro, James Woods

C'era una volta in America (1984): Robert De Niro, James Woods


Film aggiunto alla playlist dei capolavori: //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297

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