Regia di Sergio Leone vedi scheda film
La magia del cinema di Leone rimbomba ancora negli occhi e la memoria degli amanti del western e del cinema di grande profondità espressiva in questa vera e propria favola sui miti della frontiera destinati a scomparire sotto le rotaie di un treno che sbuffa un fumo denso come il progresso dell'uomo che non si ferma neppure davanti ad una colt con il cane alzato pronto ad abbaiare piombo rispettando la legge del vecchio west, una legge stabilita al cinema, da sempre indiscutibilmente l'unica forma di espressione capace di mitizzare un'epopea che non trova dipinti, canzoni o libri che sappiano rappresentarla in maniera così stupendamente fasulla e attraente come quel fascio di luce acceso.
Leone in questo film ruggisce genialità su ogni granello di sabbia che copre l'Arizona, pennella dei personaggi ad alta definizione senza neanche farli parlare su tavole di America selvaggia in cinemascope, cuoce la sua storia a fuoco lento come in un bivacco a seguito di una lunga cavalcata, sfrutta un cast di fenomeni spiazzando anche il più immaginifico degli spettatori, fa fuori in un attimo con due colpi bene assestati delle facce da due ore di pellicola come Jack Elam e Woody Strode, trasforma quel bravo ragazzo di Henry Fonda nel pistolero più nero più nero che c’è, Jason Roberts nel Robin Hood che beve solo caffè e indossa uno spolverino al posto di una piuma blé, Charles Bronson nel cavaliere solitario senza passato che grida vendetta al soffio di un’armonica dissolvendo un’immagine sfocata che si avvicina e si avvicina dal trapassato al passato, Frank Wolff nell’irlandese d’acqua dolce che ha visto prima degli altri i grattacieli di cemento radere al suolo baracche di legno in mezzo al deserto, si lascia alle spalle di Claudia Cardinale la caotica New Orleans appena nominandola e in un piano sequenza che ha fatto scuola con la sua telecamera che sembra volare via sopra la stazione scopre sul tema di Morricone la città di Flagstone in pieno west con la sua polvere polverosa che impolvera quel bel viso di città che ha tutta l’aria di essere una gran puttana, Lionel Stander ne bello ne elegante che gestisce un saloon ne bello ne elegante in mezzo al nulla senza tavoli verdi o pianole musicanti ma con tante travi, puzza di sudore e sassetti oltre a Gabriele Ferzetti come un automa senza calzetti sognante un mare azzurro collegato con una linea di ferro ad un mare blu prima che quelle ossa marce divorate da un tempo in cui si muore con uno starnuto di pistola lo porti sotto un buon metro di polvere con le grucce e una montagna di soldi sporchi di fango; i destini di tutti questi volti inquadrati fin dentro le pupille sono intrecciati all’interno di una sceneggiatura davvero anomala per un western in cui le carte in tavola sono scoperte quasi sempre alla prima mano mentre in questa storia tutto viene fuori poco alla volta come i personaggi tanto che si respira un’aria di mistero fino al confronto finale fra il buono ed il cattivo, specialità della casa, nel frattempo le immagini monumentali di Leone travolgono l’occhio attraversando l’orecchio con battute indimenticabili come: “Se intorno a una stazione ci costruisci una città frutterà migliaia e migliaia di dollari” - “Si chiamano milioni!”, “Giuda si è accontentato di 4.970 dollari di meno” - “Ma al tempo i dollari non esistevano” – “I dollari no ma i figli di puttana si” , “Come si fa a fidarsi di uno che indossa cinta e bretelle e non si fida neanche dei suoi pantaloni”, parole mitiche sopra mitiche tecniche di ripresa ribaltanti come lo zoom out rovesciato su Henry Fonda e la Cardinale, dolly smisurati sul passato di Armonica, l’inquadratura fissa di Jill filtrata da un pizzo nero sopra il letto che verrà ripresa in maniera ancor più memorabile nell’ultima scena di “C’era una volta in America” con un De Niro sorridente e intrigante, giochi di luce in chiaro scuro nel saloon tugurio durante il primo faccia a faccia fra Armonica e Cheyenne nemici amici destinati a scomparire nello spazio di un epoca che non ha più spazio per loro e per Frank che a sua volta è solo un uomo oltre che un uomo solo mentre percorre il treno morto di Morton seguito da un carrello orizzontale rapidissimo dalla coda alla locomotiva, le immagini scolpite sopra la Monument Valley con quelle rocce monumentali che racchiudono in loro la verità muta di quando c’era una volta il West.
L’impresa di raffigurare un epoca e una nazione non sua con i ritmi di un giallo e le sfumature di una favola poteva sembrare troppo grande per un italiano ma non per uno che di cognome fa Leone perché nonostante i suoi ammiratori più intimi lo venerano maggiormente per le avventure di Eastwood e compagni “C’era una volta il west” rappresenta il suo film più maturo e personale: ha il raro pregio di essere un western anticonformista estremamente affascinante pur non mostrando una figura classica come il pellerossa e avendo un’andatura non certo galoppante come la trilogia del dollaro o le colate di piombo dello zio Sam Pa poi come sempre Dio Morricone scandisce il tutto con melodie azzeccatissime per ogni personaggio cruciale della trama avvolte nel tema evocativo del film che ipnotizza ogni qual volta compare da uno speaker anche se associato allo spot dei fagioli, non risente nemmeno di un cast composto da attori non eccezionali come Bronson e la Cardinale che secondo me vengono spazzati via da un grandissimo Henry Fonda e un fantastico Jason Roberts: il primo nell’inconsueto ruolo di cattivo che nella scena del flashback rivelatore esprime un contrasto profondissimo fra la rabbia giovane di un killer nato e quella più invecchiata di uno che si è lasciato alle spalle un canyon di cadaveri e si ritrova a dover fronteggiare qualcuno che vuole la sua pelle e non sa neppure perché, il secondo nel bandito dal cuore d’oro capobanda di un gruppo di pistoleri in spolverino mette in mostra il suo immenso talento soprattutto nella parte finale del film dal momento in cui compare davanti ad Armonica, cavalcando in maniera dimessa da subito da intendere che c’è qualcosa che non va in lui poi ampiamente evidenziato con la perfetta espressione del viso nelle scene successive tanto che in una versione del film americana Leone modificherà l’esito del suo personaggio su protesta di un folto numero di fans.
Molti dicono che Leone ha omaggiato il maestro John Ford con questo film ma secondo me “C’era una volta il west” è superiore a qualsiasi film di Ford e l’allievo ha superato di gran lunga il maestro e dei suoi western lo metto davanti a tutti gli altri a pari merito con “Il buono, il brutto, il cattivo” che non ha il suo spessore epico ma lo surclassa per ritmo e vitalità.
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