Regia di Sergio Leone vedi scheda film
Con C'era una volta il West la sostanza della sceneggiatura e dello stile leoniano comincia a prendere una piega leggermente diversa rispetto ai tre film precedenti, pur rimanendo evidenti, anzi resi più espliciti ancora, gli elementi tecnico-artistici di base.
Al livello più esteriore vediamo un cambiamento nella scelta degli attori, sempre però azzeccati nei loro ruoli, ciò che prevale nell'atmosfera, invece (lasciando già intravedere sensazioni di C'era una volta in America), è un senso dell'epicità al tramonto, ancora disperatamente illusa, ritratta con malinconico lirismo, romanticismo di un destino in cui l'uomo lotta uccidendo, depredando o guardando avanti nonostante tutto. Gli elementi ironici si fanno più tenui e smorzati, le durate interne (non mi riferisco quindi al minutaggio totale) si dilatano per mezzo di sequenze e inquadrature che scolpiscono, quasi tarkoskijanamente, il tempo e lo spazio, gli sguardi e gli oggetti. Tempi psicologici che, come nella emblematica e strabiliante sequenza dei titoli di testa alla stazione, sono scanditi dai cigolii, dal soffiare del vento, dal ronzio di una mosca, dai ticchettii, sono soppesati dal calore e, appunto, dall'attesa. Diversamente dagli altri inizi leoniani, qua lo sguardo e l'udito si fanno più desolati, più seriosi e oppressivi proprio per la scelta di non usare musica morriconiana, la quale da una parte interviene in modo più parsimonioso nel resto del film, dall'altra si riappropria della sua importanza con brani aggressivi e altri malinconici, dove la regia sceglie di seguirla, e non il contrario. Da ricordare come altissimi esempi di emozione e tecnica sono l'arrivo di Jill (C. Cardinale) alla stazione con il famoso dolly sulla piazza del paese, ma soprattutto la terribile e straziante scena del massacro dei McBain da parte di un H. Fonda eccezionale e dei suoi sgherri, un ruolo da cattivo, quello di Frank/Fonda, tra i più memorabili e impressionanti per ferocia ed elegante crudeltà con quelle movenze longilinee quasi da ballerino e quel volto scarno e metamorfizzato con "semplici" sguardi strafottenti. Appunto, la scena del massacro: una caccia sadica da parte di sicari inesorabili e nascosti dietro cespugli come animali famelici, dove il lamento sinistro dell'armonica a bocca fa da sfondo alle strappate distorte della chitarra elettrica, sorta di richiamo futuristico che accentua la distanza del tempo con le sue note sbrananti, poi allo sviluppo degli archi con una melodia drammatica e definitiva che esalta l'essenza del male in persona. Poi naturalmente, alla fine, il duello risolutore, che sembra non voler arrivare, attorniato dal mistero.
Tutti momenti di grande cinema che però nel mezzo risentono un po' di una sceneggiatura a volte macchinosa a cui avrebbe giovato qualche dispersione in meno. Piccoli difetti.
Al Mulock (Knuckles, membro della gang di Frank) si suicidò durante le riprese; Woody Strode e Fabio Testi sono altri membri della gang. 8 1/2
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