Regia di Sergio Leone vedi scheda film
È un omaggio al cinema western che fu. In qualche modo sarebbe potuto essere il canto del cigno di un genere glorioso, ma poi venne Sam Penkinpah e rimise le carte in tavola. Quasi tre ore, dense e non sempre fluidissime, che esprimono una concezione del mito della frontiera universale ed allegorica. La storia è abbastanza intrecciata, pone al centro della scena cinque personaggi emblematici (la puttana, il grande capo, il bandito di professione, il bandito senza nome, il bandito decadente) che si muovono intorno alla costruzione di una ferrovia su terreni appartenenti ad una famiglia sterminata. Tra morti uccisi e loschi affari, le varie rese dei conti si avvicinano.
Ambiziosamente epico e profondamente crepuscolare, il film, scritto da Sergio Leone e Sergio Donati su soggetto di Bernardo Bertolucci, Dario Argento e lo stesso Leone, è attraversato da una vena di malinconico pessimismo e allo stesso tempo vale quanto un amarcord (il gioco carino è riconoscere scene e personaggi ispirati ad altri western) di raffinato filologismo. Non sempre la tensione è mantenuta alta, qualche volta si rischia di cadere nel banale ripetitivo e scontato (centosessantasette minuti sono decisamente troppini…), ma in definitiva è un bel film.
Anche perché lo sguardo di Leone è assorto ed ispirato, molti stacchi sono memorabili (come dimenticare la crudele decisione di sparare al bimbo dei McCain sfociante nel fumo di una locomotiva?) e i protagonisti si immergono nelle proprie parti con efficacia (vale la pena ricordare il misterioso Armonica di Charles Bronson, la prostituta enigmatica di Claudia Cardinale e Jason Robards come fuorilegge sul viale del tramonto). Soprattutto, però, a donare quel tocco di epicità ci pensa un Ennio Morricone scatenato e stimolato dalle immagini, alle prese con una delle partiture più clamorose della sua carriera.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta