Regia di Steven Kloves vedi scheda film
Fermo restando che non si può capire sempre tutto, pensare che per Steve Kloves questo film sia stato, dopo I favolosi Baker, una battuta d’arresto senza attenuanti, come minimo lascia confusi.
Rimane un fatto, dopo Flesh and bone non ha più diretto un film, ha sceneggiato per altri - l’ottimo Wonder boys e quasi tutti gli Harry Potter - ed è un peccato, perché anche se questa sua regia non se la ricorda (quasi) nessuno, anche senza essere un capodopera rimane un buon esemplare di genere che racconta di amore e marciume senza fare buon viso a cattivo gioco.
La vita di Arlis (Dennis Quaid) è abitudinaria, almeno fino a quando conosce Kay (Meg Ryan), di cui s’innamora, ricambiato.
Purtroppo, raggiungere la felicità è un lusso destinato a pochi, infatti, torna a farsi vivo suo padre Roy (James Caan), accompagnato dalla trucida Ginnie (Gwyneth Paltrow), con il passato pronto a cancellare ogni barlume di gioia.
Anche provando a rinunciare a tutto per preservarne l’incolumità, fare finta di nulla è impossibile.
Per quanto il titolo italiano sia comunque attinente, con la provincia talmente languida ma in fondo attraversata dagli approfittatori della peggior risma, l’originale Flesh and bone lo è ancor di più, menzionando un legame diretto, inestirpabile come la verità che, per quanto rimossa, può sempre tornare a galla, magari nel momento meno indicato.
E al cinema è una buona scusa che Omicidi in provincia fa sua, gettando prodromi quanto mai indicati. Infatti, il prologo raggela il sangue, con una casa nella notte, un rumore e un puzzle che perde tutti i suoi pezzi, da ricomporre in seguito.
Steve Kloves non ha ansia da prestazione, detta i tempi con circospezione, descrivendo un nucleo delimitato all’interno del quale ogni piccola cosa genera rumore. Lo fa probabilmente allungando fin troppo la minestra, ma lascia per strada alcuni segni di instabilità, un diffuso sentore nell’aria che non lascia mai spazio completo alla serenità.
Anche quando il passato torna a bussare senza avere alcuna intenzione di farsi da parte, non perde il controllo, trasmette il calore del male e riesce a posizionare in evidenza i conflitti, descrivendoli senza sbavature.
Alla buona riuscita del film, contribuisce la ricomposizione della coppia d’oro Dennis Quaid-Meg Ryan (cinque anni dopo D.O.A. Cadaveri in arrivo e già presente nel cult Salto nel buio), con Meg Ryan lontana dall’immaginaria figura di fidanzatina d’America (anche da qui forse deriva l’insuccesso del film?), ma lascia il segno anche una disincantata, per quanto ancora sconosciuta, Gwyneth Paltrow, mentre James Caan è l’uomo nero, più velenoso di un cobra a sonagli, un ghigno malefico che scava in sentimenti devastanti.
A completare l’opera - supervisionata dal produttore esecutivo Sidney Pollack - ci pensa il tappeto musicale di Thomas Newman, sottile come si confà a un’opera sedimentata sottopelle, con riverberi continui e il non detto posto in pole position.
Infine, la ciliegina sulla torta arriva proprio quando cala il sipario, agganciando l’ottimo incipit, nel segno di una tensione che fa i conti solo con se stessa, per un film di personalità che plasma i tempi a suo piacimento, generando un racconto compiuto e corposo.
Calibrato, con poche, quanto ben collocate, impennate e con ancor meno deplorevoli compromessi.
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