Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
Ero da poco maggiorenne quando vidi per la prima volta Jurassic Park. Frequentavo l'ultimo anno delle superiori ed avevo l"età perfetta per godermi l'evento. Curiosamente, un compagno di classe, il tipico nerd esperto di computer e videogiochi, ci parlava dei dinosauri di Crichton da tanto di quel tempo che ero convinto che il film fosse già uscito, quando, nel settembre del 1993, approdò nei cinema italiani. Vabbè. In quegli anni gli appassionati si informavano dei progetti a venire tramite le pagine dei magazine specializzati mentre allo spettatore comune restavano i numerosi trailer in televisione che precedevano l'uscita delle pellicole. Per quanto appassionato di cinema all'epoca non frequentavo molto le sale e nemmeno i magazine. La confusione era la normalità e certi titoli diventavano leggenda ancor prima di uscire creando degli incomprensibili cortocircuiti temporali nel cervello. Ricordo che vidi il film in un monosala (i multisala ancora non esistevano. Come sono vecchio!!!) alla terza settimana di proiezioni. E non sarebbe stata l'ultima. Altri tempi. All'epoca ne rimasi folgorato perché la computer grafica era straordinaria e gli effetti speciali di prim'ordine. Eravamo all' inizio dell'era CGI che avrebbe influenzato sin troppo il cinema successivo. Sin dall'inizio Steven Spielberg riuscì ad imprimere al suo giocattolo una tensione che correva sotto la pelle squamosa dei suoi dinosauri e si propagava nel pavimento, tra i sedili del cinema, grazie ai passi pesanti del mitico T-Rex. Era chiaro fin dall'inizio che la situazione sarebbe precipitata. Ed era semplice, davanti alla maestosità del progetto, rimanere dapprima ammaliati e successivamente terrorizzati, come succedeva ai protagonisti.
Il grande schermo, gli effetti sonori strabilianti e la naturalezza nei movimenti dei dinosauri lasciavano senza fiato. Quando uscì nelle sale, inoltre, i temi trattati erano molto sentiti. La comunità scientifica si interrogava sulle possibili derive pratiche della clonazione delle cellule umane tanto che meno di tre anni dopo venne clonata la pecora Dolly con tutto il codazzo di polemiche che ne seguirono.
Rivisto ancora una volta a quasi trent'anni dalla sua uscita le impressioni rimangono pressoché le stesse. La tempesta tropicale e i cerchi concentrici nelle pozze d'acqua preannunciano eventi nefasti come allora, e le sequenze in compagnia dei velociraptor mantengono elevata l'adrenalina nonostante la visione casalinga riduca l'appeal generale del film.
La sequenza dell'arrivo degli scienziati sull'isola a bordo di un elicottero era senz'altro più spettacolare sul grande schermo così come la scena in cui il dottor Grant e la dottoressa Sattler strabuzzavano gli occhi impietriti al primo contatto con i dinosauri. Di fronte a queste due scene accompagnate dalle magniloquenti note del maestro John Williams (magnifico il soundtrack) si poteva notare la grandeur del cinema americano e la tecnica sopraffina di Steven Spielberg al quale bastava un moscerino con il rotore sullo sfondo di una maestosa e lussureggiante insenatura per trasmettere lo spettacolo del cinema. Brividi. Sul fronte della suspance era difficile che l'autore dello "Squalo" potesse cadere in un passo falso. L'abbraccio tra il dottor Arnold e la dottoressa Sattler è raccapricciante e mozzafiato anche a distanza d'anni. Rispetto ad allora fa senza dubbio impressione il gap informatico e da questo punto di vista la pellicola è diventata una sorta di documento storico sullo stato della tecnologia dei primi anni Novanta.
Al pari di allora permangono in me le perplessità sulla trasposizione dal romanzo che, di fatto edulcorò il contenuto del libro di Crichton. Spielberg abbassò il target ai bambini riducendo le scene splatter e modificando almeno in parte la caratterizzazione dei protagonisti e il loro apporto al film per renderlo più adatto alla visione di un pubblico più ampio. Ben altra cosa era il romanzo impreziosito dall'enunciazione della fascinosa "teoria del caos" del dottor Malcolm che vestiva i panni della Cassandra ben più del corrispondente personaggio cinematografico, arrivando a perdere la vita sull'altare del sacrificio innocente a favore di una natura iraconda. Che il messaggio trapelato dalla penna dello scrittore americano fosse più cinico lo dimostra la morte del creatore del parco, il magnate John Hammond, per mano dei suoi stessi dinosauri. Il romanzo di Crichton era molto più schietto nel denunciare la cinica ed ambiziosa natura umana, la rapacità del mondo degli affari americano e la presunzione di mantenere il controllo su variabili troppo complesse per l'uomo. Nonostante manchi la cattiveria del prototipo e il nonnetto interpretato da Richard Attenborough faccesse marcia indietro sin troppo velocemente anche il film mantenne quella originaria verve polemica nei confronti della brama, tipicamente umana, di sostituirsi alla natura (o a Dio) per creare artificiosamente la vita e controllarne gli istinti. Da questo punto di vista il film di Spielberg rimane attualissimo. Proprio per questo rigetterei le critiche che vennero mosse all'uscita intorno alle inesattezze scientifiche riguardo la possibilità di ricreare forme di vita estinte milioni di anni fa. Jurassic Park è un gioco, un pretesto "fantascientifico" che, sulla scia della già nota letteratura ottocentesca, vuole affrontare un dibattito sulle ambizioni manipolatrici della scienza. Lo fa a suo modo, con un occhio allo spettacolo e con la capacità indiscussa del suo creatore di immergere lo spettatore in un mondo straordinario che stuzzica la sfera emotiva più infantile lasciando la bocca aperta e gli occhi velati di stupore.
Poteva essere un capolavoro ma finì per essere "ancora un circo delle pulci". Ma che circo...
Dio crea i dinosauri,
Dio distrugge i dinosauri,
Dio crea l'uomo,
l'uomo distrugge Dio,
l'uomo crea i dinosauri.
(Dr. Ian Malcolm, Jurassic Park)
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