Regia di Karel Reisz vedi scheda film
Il rischio, per Axel, professore universitario di Letteratura, è l'essenza stessa della vita e, come dice in una lezione, è proprio il rifiuto del rischio, per la paura del fallimento, che rende gli Stati Uniti un paese conformista. Come Il giocatore di Dostoevskij (del quale si intravede allusivamente un ritratto alla parete), Axel perde e vince (soprattutto perde), giocando su tutto e dappertutto, dalle roulette dei lucenti casino di Las Vegas ai campetti di basket in cemento delle periferie malfamate di New York. E si ritrova perennemente inguaiato con gli allibratori e i loro pericolosi scagnozzi. Il rischio, però, si deve accompagnare alla reale possibilità di perdere tutto, per poter conservare una sua valenza etica, tanto che, quando il protagonista si presta ad una combine, coinvolgendo peraltro un proprio studente, prova la necessità di abbrutirsi e, in buona sostanza, di purificare il "peccato" con il proprio sangue.
La tematica non è lontanissima da quella enunciata da Altman in California Poker, anche se il film di Reisz è più romantico e barocco, una sorta di grido d'allarme contro il conformismo, laddove Altman tendeva all'esistenzialismo, focalizzandosi sul momento in cui l'adrenalina del gioco si trasforma in nausea e in paura e contemplazione del vuoto.
Il britannico d'origine ceca Reisz riesce a mantenere inalterato il senso di una bella sceneggiatura di James Toback, anche grazie all'ottima fotografia di Victor J. Kemper, all'interpretazione sempre calzante (forse la sua migliore in assoluto) di James Caan e ad un cast di caratteristi (tra i quali citerei Paul Sorvino e Burt Young) di quelli che hanno contribuito decisamente alla grandezza del cinema americano.
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