Regia di Kim Ji-woon vedi scheda film
Venezia 73 - Fuori concorso
Forte di una coproduzione che annovera anche una major del lignaggio della Warner bros., Kim Jee-woon dà vita a una pellicola fluviale che abbina uno sviluppo narrativo molto serio, d’altronde il periodo storico lo era, riprendendo personaggi reali e inserendo squarci del suo stile, senza disdegnare dei richiami piuttosto espliciti a dei generi del passato.
L’azione si sviluppa durante l’occupazione cinese della Corea verso la fine degli anni Venti con da un lato i rivoluzionari pronti a tutto nel nome dei loro ideali e dall’altro la polizia giapponese impegnata nel soffocarne i moti.
Di queste forze di controllo fa parte Lee Jung-chool (Kang-ho Song) che ha il compito di infiltrarsi tra i nemici ma la sua figura, spinta da diversi interessi, presenta più di un’ombra.
In questo riquadro ad alta tensione, gli atteggiamenti difficili da decifrare in prima battuta sono parecchi.
The age of shadows è una pellicola decisamente piena di aspetti e stili, forse anche per questo un po’ spiazzante (alla proiezione del Festival di Venezia, coda esagerata per entrare, con tanti rimasti all’asciutto, e poi molti sono usciti anzitempo).
L’inizio è in pompa magna, tra un ritmo vorticoso, una regia che mostra un saggio degno di un vasto repertorio – tra sparatorie, inseguimenti sui tetti e una resa dei conti al sangue – comparse come se piovessero e angoli di ripresa di ogni tipo, c’è veramente di che godere.
Subito dopo però, la questione si fa seria, oltre all’inquadramento generale che richiama una nutrita squadra di personaggi, spicca l’intreccio scandito da corruzione e ideali, repressione e rivolta con doppi giochi che si fanno anche tripli.
Encomiabile per quest’ultimo punto il personaggio interpretato da Kang-ho Song, per lui si tratta di una prova di spessore che lo vede spesso sulla graticola di situazioni ad alto rischio e su entrambi i lati della barricata.
Questa fase probabilmente è un po’ troppo dilatata (anche in virtù della lunghezza totale), e passibile di essere definita sfiancante, alla quale però fa seguito una lunga e delicata sezione all’interno di un treno; improvvisamente gli equilibri, come i tempi di base, cambiano, elargendo una piccola lezione - attenta, dinamica e pure un po’ sfacciata - di cinema che nel proseguo riprende, complice anche la ricostruzione storica, un genere come il noir più classico iniettandolo di sangue e qualche impennata di sfrenata violenza (torture comprese).
Una seconda parte in salire che si riempie di rese dei conti a suon di pallottole ed esplosivo, con uno sterminio di personaggi, per un’opera costruita con serietà e che per questa ragione si prende tutto il tempo, forse pure troppo, per tessere le tele del racconto per poi deflagrare, regalando autentiche schegge provenienti da ispirazioni e vocazioni anche assai lontane.
Un po’ faticoso ma anche stimolante e ricco.
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