Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
A causa di un problema al motore della sua barca, un pescatore nordcoreano (Ryoo Seung-bum) finisce involontariamente nelle acque del territorio della Corea del Sud. Qui viene prelevato e portato in un luogo nel quale, per giorni interi e nonostante le premurose attenzioni di un addetto alla sua sicurezza, viene sottoposto a interrogatori, vessazioni e torture di ogni genere. Il governo di quel paese, o per meglio dire un suo emissario, è convinto che il pescatore sia una spia. Dopo un'interminabile odissea, il pescatore si troverà a rivivere qualcosa di simile nel suo paese d'origine.
Kim Ki-Duk firma l'ennesima opera spiazzante, che - dopo One on one - ancora una volta abdica da qualsivoglia concezione estetica della settima arte per lasciare spazio unicamente ai contenuti. Col suo ritratto desolante e rassegnato di due Paesi che vivono forme diverse ma sovrapponili di dittatura e di violenza ideologica, il regista sudcoreano riesce a restituire in maniera possente lo strazio a cui è sottoposto il protagonista a causa dell'ennesima dimostrazione della banalità del male, la sua refrattarietà a subire il fascino del capitalismo sudcoreano tenendo permanentemente gli occhi chiusi in esterno (almeno finché potrà), la brutalità di un sistema di regole ottuse, l'ostinazione con cui - per ragioni unicamente ideologiche - lo Stato passa sul corpo di un cittadino di un altro paese senza alcun rispetto per i suoi diritti. Ma dall'altra parte, il film è girato con uno stile meno che spoglio non si potrebbe, con la macchina da presa spesso incollata al volto dei personaggi, inquadrature sghembe, scenografie approssimative, recitazione amatoriale (e anche il doppiaggio italiano non aiuta…). Una scelta che rimanda a distanze siderali quelle inquadrature di film come Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera o Ferro 3, che trasformavano ogni immagine in un'opera d'arte.
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