Regia di Ettore Scola vedi scheda film
Marzo 1938. Il grande giorno è arrivato: le camicie nere sono chiamate in piazza per onorare Hitler, nella sua ultima giornata a Roma. Per Antonietta, moglie dell’arrogante fascio Emanuele e madre di sei figli, si prospetta una giornata dedicata alle pulizie di casa. Sennonché Rosmunda, l’uccelletto di casa, vola nei pressi dell’appartamento in cui alloggia il candido e gentile Gabriele, radiocronista omosessuale destinato al confino. “La vita qualunque sia vale la pena d'esser vissuta, non si dice così?”. Antonietta che, rimasta a casa, s’aggira con le occhiaie e il vestito stracciato. Gabriele che, dandoci le spalle, parla al telefono e si lamenta di essersi trovato “un amico triste”. Antonietta e Gabriele sono due emarginati che si uniscono per un giorno, un po’ per solitudine e un po’ per disperazione. Il loro breve incontro è attraversato dalla tremenda colonna sonora della radiocronaca dell’incontro tra i due dittatori (con interludi di un inquietante Armando Trovajoli), ottenebrato dalle tinte decolorate di una fotografia in bianco e nero a colori o viceversa (memorabile lavoro di Pasqualino De Santis), animato da una progressione verso la rottura e che poi risorge in un amore disgraziato ed impossibile.
Apologo sulla solitudine, sulla diversità, sull’emarginazione e sulla contraddizione, insomma, nonché ricostruzione d’epoca spettacolare nel suo minimalismo struggente, Una giornata particolare è probabilmente l’apice del cinema teorico e popolare di Ettore Scola (assieme al monumentale C’eravamo tanto amati, naturalmente). Scritto dal regista col fedele Ruggero Maccari e l’ausilio di Maurizio Costanzo, non è soltanto un altro capitolo della narrazione scoliana che racconta la grande Storia attraverso il privato di personaggi piccoli, ma anche se non soprattutto un miracolo di intimismo, carnalità, passione, repressione. Prendiamo la grandiosa la sequenza sul terrazzo del grosso caseggiato: urla giocose e baci sfiorati, risate e schiaffi, rivelazioni e rifiuti. Scola volteggia con la macchina attorno ai corpi in movimento, ai loro volti in tensione, al cielo plumbeo che guarda sconfortato una Roma in mano alla violenza. O la scena dell’incontro sessuale, con la rara sintesi di morbosità e distacco. Magistrale, certo. Però il film appartiene anche ai due attori, nell’esito migliore del loro sodalizio: la più grande interpretazione di Sophia Loren, dolente, straziante, dubbiosa, ingenua; un immenso Marcello Mastroianni, sottile, crepuscolare, malinconico, delicato.
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