Regia di Alex Garland vedi scheda film
Ormai dovrebbe essere chiaro che a nessuno è concesso il privilegio di capire ogni cosa, che non è possibile avere sempre una risposta completa, talvolta nemmeno una semplicemente plausibile, per quanto accade intorno a noi. È una regola non scritta, ancor più valida quando si esce da una condizione di presunta normalità – anch’essa comunque già compromessa da ogni possibile discettazione esaustiva – per addentrarsi in scenari futuristici che non prevedono niente di buono, per un’umanità che non sta facendo alcunché per meritarsi una parabola a lieto fine.
Annientamento rientra a pieno titolo nella poetica che Alex Garland aveva già promulgato in Ex machina, sostituendo il fattore di rischio, che s’innesca nuovamente nel nostro (in)quieto vivere dando luogo a uno squilibrio la cui valutazione non permette di dormire sonni tranquilli, pur senza potere esprimere un giudizio definitivo. Appunto perché non ci è dato di comprendere ciò che va oltre le umane conoscenze.
Lena (Natalie Portman) non fa tempo a riabbracciare il marito (Oscar Isaac), temuto perso per sempre dopo una missione militare, che si ritrova di fronte a una sfida più grande di lei. Per cercare di capire cosa sia capitato all’uomo della sua vita, accetta di partecipare a una missione affidata a un team di sole donne, guidato dalla dottoressa Ventress (Jennifer Jason Leigh), che si spinge all’interno dell’Area X, uno spazio governato da una forza non meglio identificata che fagocita la terra un centimetro alla volta, per arrivare a un faro, da cui il fenomeno ha avuto origine.
Quanto incontrano sul loro tragitto mostra in egual modo bellezze sconosciute all’occhio umano e pericoli letali: solo chi non ha nulla da perdere può aspirare ad arrivare in fondo alla missione, senza aver certezza alcuna di uscirne viva.
Pochi giorni dopo l’uscita di Annientamento è morto Stephen Hawking, uno tra i più noti uomini di scienza degli ultimi cinquant’anni. In mezzo ai suoi tanti studi più riconosciuti, ad esempio sui buchi neri, ha avuto modo di esprimere scarsa fiducia verso l’intelligenza artificiale, considerata in prospettiva un pericolo per l’uomo, e allarme nei confronti di quello che potrebbe rappresentare l’incontro con un’entità extraterrestre, con ogni probabilità nefasto per il nostro futuro.
Queste due considerazioni fanno il paio con i primi due lungometraggi diretti da Alex Garland. Se in Ex machina l’essere umano passava in tempo record da creatore a vittima designata, in Annientamento – adattamento dell’omonimo romanzo di Jeff Vandermeer - la condizione umana è fin da subito succube di fronte all’imprevedibile, conscia che la situazione sfugga da ogni forma di potenziale controllo.
Sviluppandosi nell’abbraccio di più generi cinematografici e ricorrendo con costanza a flashback e flashforward, l’opera ha una composizione instabile, finendo col perdere la coesione magnetica di Ex machina, con un fraseggio interlocutorio che si accende e si spegne ripetutamente, rifiutando con zelo l’opportunità di creare scampoli à la Predator, tagliando e cucendo l’esecuzione nel nome di un montaggio ellittico, pienamente conforme a una contingenza che annulla ogni certezza, sfruttando i reset della memoria.
Così, per una volta, il meglio è deputato a una – corposa e diramata - parte finale, che accoglie una trascendenza abbagliante, facendosi puramente sensoriale, giostrando magistralmente immagini e sonoro come fossero un’unica entità, per poi depositarsi su un messaggio del tutto simile, per quanto più approssimativo, a quanto declamato in Ex machina, per cui le apparenze hanno una portata limitata e non c’è nulla di cui stare sereni.
Quella promossa da Alex Garland è nuovamente una forma di fantascienza che pone interrogativi e fornisce vari strati alla sua chiave di lettura (già sulla dettagliata introduzione – che nessuno può credere casuale - sui tumori, si potrebbe aprire un’intera revisione in parallelo su tutto il significato del film), senza sviolinare la gamma di effetti speciali tipica del genere primario cui appartiene (quantunque non siano sempre estremamente convincenti), contando su nuovi spazi da esplorare, riflessioni filosofiche ed esistenziali e una presenza principale totalmente rivolta al femminile (le scienziate tolgono il posto ai fallimentari militari di turno, che non hanno abilità oltre al grilletto facile).
Visionario e imperfetto, incostante ma anche sufficientemente cerebrale da toccare con mano uno spazio sconosciuto, seppure per un brevissimo intervallo, che comunque vale più di decine di film.
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