Regia di Terry Gilliam vedi scheda film
In un mondo iperburocratizzato, retto da un Potere dispotico, un timido funzionario del Ministero dell'Informazione cerca di riparare ad un errore amministrativo che, in maniera indiretta, causerà la morte di un innocente. Inoltre, si innamora di una bella camionista che lo avvicinerà alle posizioni dei "ribelli", ma il loro idillio sarà di breve durata... Terzo lungometraggio di Gilliam, ex-membro del gruppo comico inglese Monty Python, è una delle più folgoranti opere visionarie degli anni 80 (e non solo). Ogni inquadratura è figurativamente ricchissima e gronda di invenzioni di regia, cosicchè lo spettatore è come trasportato in una dimensione "altra": il film rinnova il genere fantascientifico con un registro narrativo che sa fondere abilmente il tragico e il buffonesco, ed è un ottima trasposizione del romanzo "1984" di George Orwell, svolta in maniera indiretta e con estrema libertà rispetto al testo dello scrittore inglese, ma molto migliore in termini formali e sostanziali rispetto ad "Orwell 1984" di Michael Radford, la versione "ufficiale" uscita l'anno precedente. La fotografia di Roger Pratt è davvero ammirevole nel trattamento del colore, spesso assai ardito e originale, che si abbina a scenografie monumentali che ricordano un pò sia "Metropolis" che "Blade Runner", dove si passa con intelligenza dai set a grandezza naturale all'uso di modellini con trucchi artigianali ma efficaci. Oltre ad Orwell, vi sono riferimenti a Kafka e a Borges nell'immaginario di una società da incubo: ma il merito principale di Gilliam e del co-sceneggiatore Tom Stoppard è di aver costruito un ritratto nerissimo senza scadere nella facile caricatura neppure quando il tono passa al grottesco un pò sopra le righe (come nelle scene della madre sotto ai ferri del chirurgo plastico). Ci sono anche molte citazioni cinematografiche, fra cui la più eclatante è quella della scalinata della Corazzata Potemkin, mentre la citazione di Casablanca è solo sonora, con un brano della canzone As time goes by. Fra gli attori, Jonathan Pryce è perfetto nel ruolo dell'efficiente e impacciato impiegato e recita passando con naturalezza dall'ilarità all'euforia e poi alla paura e al terrore; Kim Greist è corretta ma non particolarmente incisiva nel ruolo di Jill (fra l'altro, è un'attrice a me quasi del tutto sconosciuta, non ricordo di averla vista in altri film). Fra i caratteristi, ottime le partecipazioni di Michael Palin (ex-collega dei Monty Python perfetto nel ruolo del malvagio poliziotto), Ian Holm, Katherine Helmond e naturalmente Robert De Niro, in un breve ma simpaticissimo cameo come idraulico guastafeste, che alla fine viene praticamente sommerso da una valanga di rotoli di giornale. Alcuni critici sostengono che vi sia un eccesso di stramberie e poca disciplina narrativa, ma a mio parere il film è talmente stimolante a livello visivo, anche nelle sequenze oniriche, che si passa sopra volentieri a qualche piccolo difetto e, comunque, resta uno dei pochi capolavori del periodo in cui fu girato validi ancora oggi.
voto 9/10
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Ringrazio entrambi per l'intervento: non ho visto L'esercito delle dodici scimmie e ho un pò perso di vista Gilliam, fra gli altri suoi film ho visto solo il Barone di Munchausen, che a me è piaciuto e mi sembra un altro bell'elogio della fantasia e del potere della visione. Comunque, da quel che ho letto sembra che si sia perso un pò per strada, ma questo non deve sminuire i meriti di Brazil, che è davvero un film geniale come sostiene Bob e, girato in un periodo come gli anni 80 in cui il livello medio della produzione cinematografica si abbassò sensibilmente, resta uno dei pochi capolavori visionari del periodo (a mio parere regge bene il confronto con Blade Runner, che è molto più famoso)
"Kim Greist è corretta ma non particolarmente incisiva nel ruolo di Jill (fra l'altro, è un'attrice a me quasi del tutto sconosciuta, non ricordo di averla vista in altri film)"
Kim Greist era Molly Graham in "Manhunter"! Uno dei thriller che preferisco più in assoluto!
Comunque è vero, il film non è stato apprezzato da alcuni critici per "un eccesso di stramberie e poca disciplina narrativa", mi è dispiaciuto infatti che Roger Ebert gli abbia dato solo due stellette...
Ciao Stefano, ti ringrazio della segnalazione!!! Manhunter è un grande film, io l'ho visto una sola volta dopo che il mitico Maso mi ha regalato la videocassetta dopo la cena di Ancona, ma non avevo associato l'attrice Kim Greist, chiedo venia, forse perchè in effetti non la conoscevo proprio prima... mi sembra comunque che non abbia girato molti film, almeno di recente... Quanto a Roger Ebert, è vero che ha poco apprezzato Brazil. Ti dirò, Ebert è uno dei critici più prestigiosi d'America, l'unico che abbia vinto il premio Pulitzer, ma io trovo spesso i suoi giudizi alquanto discutibili... tanto per dire, ha assegnato una stella a Il sapore della ciliegia, una a La caduta degli dei, due ad Arancia meccanica, due e mezzo a Full metal Jacket ecc... forse dovrei fare una playlist con tutti i suoi svarioni, se a qualcuno interessa. grazie dell'intervento, ciao
Effettivamente Ebert negli anni 80 era un pò duro con i film visivamente atipici, per esempio ha dato un giudizio negativo a Batman di Burton... e se non sbaglio anche a Shining... si è vero, dovremmo fare una playlist con le falle di alcune recensioni di Ebert:)...
Film geniale che sconta, a mio avviso chiaramente, "un eccesso di stramberie e poca disciplina narrativa" o per meglio dire (parafrasando e ribaltando il senso di un frammento dell'ammirevole recensione di Snaporaz68), Gilliam tende a fermarsi troppo sul particolare (felice il parallelismo con la pittura strabordante di Bosch), e imbocca continuamente vie collaterali perdendo di conseguenza, in alcuni momenti, le redini della storia che sta raccontando e prolungandola a scapito del giusto ritmo. La tendenza alla dispersività e al macchiettismo si stemperano poi gradualmente, e come scrive Saintly Sinner "l'ultima mezz'ora è davvero micidiale". Sono inoltre d'accordo con te Steno sull'incommensurabile fascino di un immaginario visivo di straordinaria forza, creato operando una traslazione (veramente prodigiosa per fedeltà) della lezione letteraria di Kafka, Orwell, e Borges (complimenti per aver citato quest'ultimo, un po' dimenticato da tanti recensori del film), per cui la messa in scena è costantemente in grado di far percepire il caratteristico respiro soffocante della distopia. Mi pare infine che nessuno abbia notato come Gilliam avesse già dimostrato due anni prima il suo, purtroppo breve, stato di grazia con lo strepitoso episodio d'apertura de "Il senso della vita" dei Monty Python, perfettamente in linea con la cifra stilistica manifestata in quest'opera. Fra gli attori, se Kim Greist con tutta evidenza non brilla, viceversa Michael Palin è memorabile nell'impersonare il carnefice kafkiano per eccellenza, tutto sorrisi, mefistofelica nonchalanche e subitanei raptus compulsivi. Incompiuto per essere un capolavoro, le 4 stelle e 1/2 ci stanno tutte. Un salutone.
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