Regia di Mariangela Barbanente, Antonio Palumbo vedi scheda film
Interessante mediometraggio, in parte documentario in parte fiction, che ricostruisce la vicenda umana di una personalità strabordante che ha saputo imporsi nell'immaginario collettivo di un'intera città (Bari), scontando nel contempo l'emarginazione ed il disprezzo di una società chiusa e perbenista.
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Interessante mediometraggio, in parte documentario in parte fiction, di Mariangela Barbanente e Antonio Palumbo, “Varichina“ ricostruisce la “vera storia” della “finta vita” di un personaggio notissimo nella Bari degli anni 70, 80 e primi 90, l'eccentrico Lorenzo De Santis, detto popolarmente “Varichina” poiché da giovanissimo aiutava la madre vendendo porta a porta tale sbiancante per il bucato. Il documentario ricostruisce la sua vicenda umana alternando le testimonianze di persone che lo hanno conosciuto con una parte fiction in cui il protagonista è interpretato dal bravo ed istrionico Totò Onnis.
De Santis, che palesava la sua omosessualità e la sua effeminatezza in un'epoca ed in contesto socio- culturale (quello del rione popolare Libertà del capoluogo pugliese) profondamente chiuso e gretto, reagiva con teatralità sboccata ai continui insulti che riceveva , anzi pareva provarci gusto a provocare lo scherno dei suoi compaesani, per i quali, nella ricostruzione dei registi, ha un atteggiamento comprensivo (“Alla fine sono brave persone, fanno solo una vita di merda e si credono meglio di me. Fanno tutti i superiori e poi zitti zitti mi vengono a trovare”. )
I baresi intervistati rievocano una figura che si è imposta profondamente nella loro memoria grazie alla sua personalità esplosiva e fuori dagli schemi, ma che nel contempo era vittima di dileggi ed emarginazione ed alcune volte persino aggressioni violente. I ragazzi di allora rievocano gli scherzi, alcuni simpatici altri malevoli, orditi ai danni di De Santis, e talvolta, dietro la nostalgica rievocazione della “goliardia”, fa capolino il volto orrendo del disprezzo contro il “diverso”.
Le sue uniche vere amiche, e coloro che più di tutti conoscevano la persona reale dietro la maschera di Varichina, erano le vicine di casa, che lo avevano accolto come parte della loro cerchia femminile durante le chiacchiere nel cortile. Tuttavia anche l'amicizia delle vicine si scontrava con i limiti imposti da un soffocante perbenismo, come dimostra l'episodio della foto del matrimonio di una di loro, da cui Varichina viene eliminato dal fotografo tagliando l'immagine, perché non ne rimanga traccia negli album di famiglia.
I registi sanno coinvolgere lo spettatore con la storia agrodolce di una personalità strabordante che ha saputo imporsi nell'immaginario collettivo di una città, scontando nel contempo l'emarginazione ed il rischio costante della solitudine. Nella loro narrazione il posteggiatore abusivo del rione Libertà, per la sua quotidiana trasgressione delle regole della moralità provinciale, diventa così una sorta di icona e di inconsapevole precursore di una liberazione sessuale di cui non godette i frutti, e viene significativamente definito come “l’uomo che ha celebrato ogni giorno il Gay Pride, da solo”.
Totò Onnis, nelle parti di ricostruzione, in cui la Bari di trenta e più anni fa si fonde con quella attuale, sa ben rendere l'istrionica maschera di Varichina, la sua mania di essere “primadonna” e “sciantosa”, sfoggiando camicie coloratissime annodate sopra la prospiciente pancetta, ma anche il dramma di De Santis nei frequenti momenti di solitudine e durante malattia che lo colpisce in tarda età.
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