Regia di Nicholas Ray vedi scheda film
La vita quotidiana dell’eschimese Inuk, fra caccia e doveri familiari, viene bruscamente interrotta da una svolta drammatica quando uccide involontariamente un missionario che aveva rifiutato il suo cibo (condito da prelibati vermi) e la sua moglie: due soldati vengono a catturarlo per condurlo a processo. Un film che rivisita in modo infantile il mito del buon selvaggio (come indica il titolo originale The savage innocents), impersonato da un Anthony Quinn che fa il bambinone e parla con la voce di Arnoldo Foà. Fastidiosissima la voce narrante dal tono didascalico, che accentua l’impressione di vedere un documentario sulla natura (peraltro totalmente privo di preoccupazioni animaliste e irricevibile per l’attuale sensibilità, visto che vengono allegramente fatti fuori orsi bianchi e cuccioli di foca): fra l’altro, siccome si chiarisce subito che “ridere” significa “fare l’amore”, da allora in poi tutti pronunciano la parola in tono ammiccante. L’unica scena che emoziona, almeno per chi ha visto La ballata di Narayama, è quella della vecchia abbandonata sui ghiacci in attesa della morte.
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