Regia di Jim Sheridan vedi scheda film
Una storia vera, che comincia a Belfast nel 1974; impossibile non parlare dell'IRA, acronimo per Irish Republican Army, letteralmente Armata della Repubblica d'Irlanda. Armata e non esercito, dato che l'attività dell'IRA si basa sulla solidarietà anche dei non attivisti e su un terrorismo strategico, volto a colpire con ordigni esplosivi gli inglesi, a suo tempo colonialisti e nel presente dittatori dell'Irlanda del Nord, i cui propositi indipendentisti sono soffocati da repressioni come quella tristemente ricordata come Bloody Sunday.
Nel nome del padre è uno strascico della guerra civile (ma anche di religione) che ha attanagliato nel XX secolo il Regno Unito e si presenta come la vera odissea di Gerry Conlon (un monumentale Daniel Day-Lewis), giovane ladruncolo di Belfast trovatosi nel posto sbagliato nel momento sbagliato, vale a dire a Londra mentre scoppiava una bomba nel pub di Guilford, provocando 5 morti e 65 feriti. La polizia di Sua Maestà si mostra immediatamente fedele all'osceno provvedimento sulla prevenzione del terrorismo stilato dal governo britannico e sottopone a violenze fisiche e psicologiche Gerry e tre suoi amici irlandesi per strappare loro una confessione, in modo da placare una popolazione infervorata dall'odio verso i cattolici irlandesi, dimostrando che il programma per la sicurezza funziona.
Disperati, i ragazzi firmano una confessione e vengono severamente condannati e Gerry in particolare viene condannato all'ergastolo. Questa faida di stato Inghilterra-Irlanda coinvolge anche la famiglia di Gerry, fra cui i parenti di Londra che lo ospitavano e soprattutto il padre Giuseppe (il bravo e spigoloso Pete Postlethwaite), intervenuto per difendere il figlio e ritrovatosi coinvolto con accuse di complicità.
Nonostante siano innocenti, Gerry e Giuseppe si ritrovano in carcere insieme nei famigerati "blocchi H", reparti speciali per i detenuti irlandesi (dove trovarono la morte Bobby Sands ed altri presunti terroristi dell'IRA), odiati dagli altri carcerati e maltrattati dai secondini. La loro diversità e il loro non idilliaco rapporto cessano dopo poco tempo di essere un problema ed entrambi, ognuno a modo suo, lottano per la loro riabilitazione, con l'esuberante Gerry che non riesce a stare lontano dai guai nemmeno in prigione, dove riscopre comunque l'affetto verso un genitore che per anni aveva odiato.
Nel 1989, una giovane avvocatessa riuscirà a far riaprire il dossier e a scagionare i ragazzi da tutte le accuse e Gerry, ormai maturato, continuerà a lottare affinché venga riabilitato il (particolare) nome del padre, Giuseppe, morto in galera in preda ad una malattia polmonare.
Nel nome del padre è ovviamente un film di parte, ma sentito, preciso e toccante, per quanto necessariamente moralista; Sheridan, forte di una storia profonda, di una gran colonna sonora e delle interpretazioni magnifiche di Day-Lewis e Postlethwaite, gira un gran film sull'IRA e sulla Corona Britannica, mostrandoci le due facce del terrorismo e suscitando immediatamente il paragone con l'attuale e folle colonizzazione occidentale del Medio Oriente. Anche il vero Gerry Conlon ha avuto modo di dire: "I detenuti di Guantanamo devono combattere contro il sospetto e l'ostilità che noi provammo sulla nostra pelle, perché l'atmosfera di questi giorni è perfettamente identica a quella degli anni in cui noi fummo mandati per errore in prigione. L'unica differenza è che il colore della pelle e la religione sono cambiati".
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