Regia di Sergio Leone vedi scheda film
Forse ognuno ha un destino da adempiere o qualcosa per cui è predisposto, il percorso di Sergio Leone era destinato ad incrociarsi con il western, genere per cui era nato e di cui sarà il massimo esponente della storia del cinema. Il regista romano, aveva svolto una lunga gavetta sui set di importanti film come direttore di seconda unità di Ladri di Biciclette (1948) e per film americani come Quo Vadis (1951), Ben Hur (1959) per cui diresse materialmente la complicata sequenza della corsa delle bighe e Storia di una Monaca (1959). sono opere con alti e bassi, ma consentono a Leone di impadronirsi dei modi di lavorare e della tecnica delle produzioni internazionali, così di il regista debuttò nel 1961 con il genere peplum allora ancora in voga, Il Colosso di Rodi, una pellicola a basso budget che l'abilità professionale di Leone maturata in anni ed anni sui set, permise di far sembrare molto più grande e costosa di quello che la produzione gli poteva permettere. La pellicola fu una mezza delusione e Leone intuendo la fine del genere di lì a poco, si tenne alla larga da ulteriori offerte e cercò di farsi finanziare una pellicola western cercando l'ispirazione giusta per un soggetto, che gli verrà dalla visione della Sfida del Samurai di Akira Kurosawa (1961), in un piccolo cinema di provincia, intuendo come fosse facile adattare in un western l'impianto base del regista nipponico, sostituendo il samurai protagonista con un pistolero e lasciando inalterata la rivalità tra le due famiglie che mettono in ginocchio il paese e la sua economia.
I produttori però erano titubanti a finanziare un western, non che non se ne erano fatti in Italia prima (il primo libro di quattro di Mancini dedicati agli spaghetti western, dedica le prime 100 pagine ai western pre-Leoniani), ma praticamente tutti gli esemplari del genere erano per lo più banali copie degli stilemi americani oramai logori e stanchi, Leone aveva in mente tutt'altra concezione verso il genere e così a costo di andare nella Spagna franchista, riuscì a mettere in piedi una sgangherata cooperazione produttiva tra Spagna ed Italia che miracolosamente riuscì a tenere fino alla fine delle riprese, assemblando un cast artistico ad attoriale di gente sconosciuta, ma affamata e che di lì a poco fece la fortuna del cinema italiano di genere e non, nonchè anche di quello americano.
Nel paesino di San Miguel in Messico, vicino alla frontiera con gli Stati Uniti, arriva uno straniero che si fa chiamare Joe (Clint Eastwood), sappiamo poco e nulla di lui (nella stesura originale doveva essere un suddista, ma Eastwood fece togliere ogni informazione sul passato del protagonista), se non che è disposto a tutto pur di fare soldi e per questo gioca sulla rivalità mortale tra le due famiglie del paese; i Baxter (venditori di armi) ed i Rojo (venditori di alcool), per fare il doppio gioco e guadagnare più dollari possibili da tale rivalità nonostante le avvertenze del barista di fare attenzione e di andarsene via dal paese, che a suo dire non ha futuro perchè la guerra tra famiglie ha portato ricchezza solo a loro lasciando il resto del popolazione di San Miguel nella miseria, o meglio, l'unico che ancora riesce a fare affari pur non appartenendo a nessuna delle due famiglie è il becchino (elemento di ironia macabra, che caratterizzerà sempre il genere).
Sin dai titoli di testa, leone confezionerà una pellicola destinata a diventare leggenda, partendo dalle musiche sperimentali ed innovative del grande Ennio Morricone, che combina strumenti classici con sonorità elettroniche, creando sonorità inedite ma che restano scolpite nella memoria dello spettatore, per poi focalizzarsi immediatamente dopo sulla messa in scena totalmente differente dai canoni di John Ford; il western Leoniano è confinato in spazi stretti, abolendo i paesaggi sterminati (in primis anche per necessità produttive, perchè erano film con budget molto bassi), inoltre predilige una costruzione sporca sia nelle location (la scenografia del bar è consumata e fatiscente in certi elementi), così come il paese in cui è ambientato nella vicenda è corroso, sporco e la sabbia della strada è secca, di conseguenza i protagonisti sono lerci, con denti gialli, barba incolta, capelli unti e perennemente sudaticci, molto lontani dalle rappresentazioni cool e fighettine delle controparti americane, dove la polvere c'era, ma non intaccava mai i personaggi, che erano sempre belli, impostati e puliti. Se da un lato Leone cerca il realismo nella messa in scena avvicinandosi molto più degli americani a quella che doveva essere l'epopea della frontiera, dall'altro con i duelli invece persegue la strada dell'anti-realismo, dilatando i tempi e spezzettando il tutto tramite un montaggio fatto di primi o primissimi piani, per poi concludere l'atto della sparatoria posizionando la macchina da presa lateralmente al personaggio e non in campo largo o con il classico campo e controcampo; la realtà soccombe giustamente alle esigenze della rappresentazione cinematografica, di cui Sergio Leone fu sicuramente qui in Italia il massimo esperto nella pura tecnica cinematografica, potendo venire accostato in questo a momenti come Orson Welles ed Alfred Hitchock, perchè Leone ha creato inquadrature e una messa in scena che prima di lui non esisteva.
La rivoluzione leoniana non si ferma solo alle innovazioni tecniche o di messa in scena, ma anche nella scrittura dei personaggi seppur il regista concepisse il suo mestiere dal punto di vista più visivo che di sceneggiatura, a cui comunque contribuì insieme a Tessari e Fernando Di Leo, creando delle nuove maschere western con dialoghi incisivi e scambi di battute piene di ironia e metafore divertenti.
Ma prima di tutti abbiamo dei personaggi totalmente nuovi, di sicuro l'elemento rivoluzionario più importante è la figura di Joe, lontanissimo dai protagonisti alla John Wayne, ma altrettanto distante dal modello di Sanjuro della pellicola di Kurosawa, perchè se nella pellicola nipponica dopo cinque minuti il samurai aveva capito benissimo che nella lotta tra famiglie il paese e la sua gente erano le vittime, nella pellicola di Sergio Leone al nostro pistolero non frega nulla di San Miguel, è un anti-eroe e non un carattere totalmente negativo solo perchè risolve la questione alla fine, ma ogni azione che l'uomo compie è ampiamente meditata e messa in atto per fini meramente personali, se il paese o la sua gente ne giovano da ciò, è solo un qualcosa di meramente incidentale.
Joe è un pezzo di merda, il cui unico motivo di interesse è il denaro, se finisce con l'aiutare qualcuno è solo perchè questo lo porta ad un profitto maggiore; il volto innovativo di Clint Eastwood si mostra adeguato per sottolineare la totale ambiguità del proprio personaggio; se ad Hollywood non aveva futuro per via dei tratti fisici (troppo alto) o tendevano a nascondere il suo viso sotto un casco addirittura, Leone scartate le altre alternative perchè troppo costose (Fonda e poi Coburn), ripiegò su questo sconosciuto Californiano, che diventò il volto emblema di tutto il nuovo western, con i suoi tratti fisici longilinei, il volto angelico e l'indole doppiogiochista, senza contare la recitazione innovativa basata sul minimalismo espressivo di cui Eastwood si fece portatore, preferendo l'aiuto di piccoli oggetti come il cappello ed il sigaro per caratterizzare il suo personaggio e che purtroppo la critica miope dell'epoca (ma qualche imbecille ancora oggi) scambiò per inespressività, quando come detto era un nuovo modo di recitare.
Ma a Sergio Leone non bastava aver lanciato Eastwood, che come detto diventerà uno dei più grandi attori di sempre e poi il miglior regista americano degli ultimi 40-50 anni, ma come antagonista sceglie nel ruolo di Ramon Rojo, il grandissimo e allora sconosciuto al cinema (ma un nome nell'ambiente teatrale lo aveva) Gian Maria Volontè, destinato a diventare il miglior attore del mondo e la cui fortuna professionale cominciò proprio con questa pellicola, il regista romano intuisce l'impostazione teatrale dell'attore e lascia libero sfogo a Volontè nel dare corpo a questo personaggio iper-violento e sopra le righe, senza mai andare oltre con il rischio di farlo scadere nella macchietta, già dalla presentazione in cui stermina con una mitragliatrice un corpo dell'esercito messicano, il regista gli da un'ottima entrata in scena che lo pone sul medesimo piano carismatico del personaggio di Eastwood; il confronto tra le due figure trova ragion d'essere non solo nelle differente loro motivazioni, ma anche nel dubbio amletico su quale sia la miglior arma tra pistola e fucile, secondo Ramon :
"Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con il fucile, quello con la pistola è un uomo morto"
Una frase ultra-tamarra per qualcuno e lo sarebbe, ma pronunciata dal personaggio iper-caricato di Volontè è l'ennesimo tassello ironico che compone un quadro bellissimo; il fucile ha una gittata, precisione e potenza di fuoco maggiore, ma più lento a caricarsi e deve essere usato con due mani, la pistola difetta nelle tre caratteristiche sopra menzionate, ma risulta essere più maneggevole e veloce nella ricarica, più che nell'arma quindi la vittoria sta nella figura che utilizza lo strumento ed il duello finale in cui Joe potrebbe vincere in 2 secondi, serve solo a mettere in chiaro che lui vuole avere ragione della superiorità della pistola sul fucile, quindi sfida Ramon a duello solo per avere ragione di questo. I difetti della pellicola derivano più da qualche ingenuità di scrittura (i due cadaveri al cimitero e nessuno si accorge che sono morti seppur stiano sparando a tutto spiano?) e qualche errore che si ci porta dall'essere un remake della pellicola di Kurosawa (la rivalità tra famiglie risolta troppo facilmente da Ramon), ma in chiave western la cosa risulta amplificata dall'uso delle armi da fuoco rispetto a quello delle katane.
Il dopo è per lo più noto, nonostante le titubanze dei produttori (specie per l'assenza di una figura femminile forte, ma giustamente Leone disse che non occorreva e nel cinema classico viveva solo in funzione dell'amore del protagonista in tali film), la pellicola di Leone ebbe un successo di passaparola insperato, che lo portarono a diventare il film più visto in Italia ed un gran successo negli altri paesi europei, nonostante le critiche miste tendenti al negativo specie sui dialoghi, la troppa violenza e la recitazione di Eastwood, ma il pubblico darà ragione a Leone e alla sua visione, che spazzerà via per sempre il vecchio western Fordiano oramai obsoleto.
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