Regia di Sergio Leone vedi scheda film
Se la trama è copiata da Yojimbo, lo stile innovativo di Leone rivoluzione il genere western, mescolando epicità e sarcasmo. Eastwood fa di se stesso un'icona ed il Maestro Morricone completa l'opera con una colonna sonora leggendaria .
Non si può per onestà nei confronti di uno dei più grandi geni della storia del cinema, tacere che Sergio Leone ha rubato la trama ed anche alcune inquadrature di Per un pugno di dollari a Yojimbo, capolavoro di Akira Kurosawa, senza darne credito per non pagare i diritti e per questo è stato citato in giudizio dagli autori e produttori nipponici. Riconoscere questo non significa tuttavia sminuire la grandezza del primo capitolo della “trilogia del dollaro”.
Infatti, nonostante la scopiazzatura, Per un pugno di dollari è un film che paradossalmente ha lasciato il segno per la sua carica innovativa, che ha rivoluzionato il genere western, dando il via al filone spaghetti western di cui Leone è stato l’assoluto protagonista. Anzi, il plagio di un film di samurai giapponesi rende ancora più sorprendente che sia riuscito così perfettamente ad adattarlo al contesto del West, con il villaggio nipponico tramutato nel polveroso pueblo di frontiera di San Miguel e ed i due clan yakuza nelle famiglie dei Rojo e dei Baxter che se ne contendono il dominio, finché sopraggiunge uno Straniero Senza Nome (Clint Eastwood) che, come il ronin di Toshiro Mifune, ha l’idea di sfruttarne la rivalità a proprio vantaggio, intessendo uno scaltro doppio gioco.
Se la trama non è originale, lo è certamente invece lo stile. Sergio Leone innova il western con il suo marchio personalissimo, ibridandolo con la commedia, il sarcasmo ed una violenza mostrata senza pudori, facendo scorrere il sangue in maniera esplicita. Qui agli esordi nel genere, dimostra di saper costruire magistralmente la tensione, alternando in un montaggio serrato campi lunghi in cui spiccano le geometrie tra i personaggi immobili ma tesi all’azione, inquadrature di fondine & pistole e primi piani su sguardi penetranti in convulsa attesa, prima dell’esplosione dello scontro armato o del sollievo per l’evitamento dello spargimento di sangue (Roberto Cinquini al montaggio). Magistrali la scena del bambino che corre incontro alla mamma Marisol e viene minacciato dagli sgherri dei Rojo, la fuga disordinata dall’incendio della casa di Baxter e quella del duello finale tra il protagonista e Ramón, in cui Eastwood emerge come figura mitica da una tempesta di sabbia.
Qualche incoerenza ed implausibilità nella trama, a volte giustificabile ai fini di una più efficace resa scenica (i Baxter che escono uno alla volta dalla casa in fiamme per massimizzare l’impatto di ogni uscita), la si perdona volentieri ad una sceneggiatura che si distingue da quella dei western classici perché carica di umorismo crudo e tagliente (“Al mio mulo non piace la gente che ride. Ha subito l'impressione che si rida di lui. Ma se mi promettete di chiedergli scusa, con un paio di calci in bocca ve la caverete.”) e anche macabro (la comica figura del becchino) e di battute fulminanti (“Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile quello con la pistola è un uomo morto”).
Clint Eastwood, con il poncho consunto ed il sigaro smozzicato tra le labbra dello Straniero Senza Nome (ma in realtà lo chiamano più volte Joe) e con le due espressioni, con e senza il cappello, del suo volto spigoloso, crea un’icona ancora oggi riconoscibilissima ed amatissima. Anche Gian Maria Volonté regala una bella interpretazione (molto sopra le righe) dell’antagonista Ramón.
Non si potrà mai lodare abbastanza, quale elemento fondamentale della riuscita del film ancora oggi strettamente legato al suo mito, la colona sonora epica e trascinante di Ennio Morricone, tra fischi scanzonati e trombe entusiasmanti. Saggiamente Leone scelse addirittura di allungare alcune scene oltre quanto previsto per permettere alla musica di Morricone di suonare per intero.
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