Regia di Sergio Leone vedi scheda film
Pietra miliare del cinema italiano e rinnovatore di un genere illustre come il western americano, Per un pugno di dollari è un caso esplosivo nel mercato e nell'estetica cinematografica; il modello a cui si ispira per quanto riguarda la storia è addirittura un film giapponese (notoriamente La sfida del samurai di Akira Kurosawa, del 1961), cui si aggiungono riferimenti alla commedia dell'arte, come detto dallo stesso regista, e caratteri da teatro elisabettiano: così S. Leone e compagnia gettano le basi di un successo mondiale inaspettato da tutti e l'Italia diventa punto d'incontro ideale tra culture, apprezzato (in parte tardivamente) da un pubblico vasto e variegato.
Tutto funziona a meraviglia grazie alle maestranze tecniche eccellenti (dalla musica di Ennio Morricone [alias Dan Savio] alla fotografia di Massimo Dallamano [Jack Dalmas], dall'operatore Stelvio Massi [Steve Rock] al direttore artistico Carlo Simi [Charles Simons], dagli sceneggiatori soprattutto - tra cui Fernando Di Leo, Duccio Tessari e Tonino Valerii -, agli assistenti registi, al cast davvero insostituibile ecc.), ma naturalmente le somme le tira la regia innovativa e solida di Sergio Leone [Bob Robertson, pseudonimo commerciale che omaggia il padre regista Roberto Roberti, cioè Vincenzo Leone).
Il regista romano veniva da una forte esperienza in altri film e dal genere peplum, ma solo qui ha la possibilità di mettere in evidenza le sue capacità: l'originalità stilistica appare fin dai titoli di testa stilizzati e incisivi, sostenuti dalle magnifiche ed emozionanti innovazioni apportate anche dal compositore d'avanguardia Morricone (tra l'altro compagno di Leone alle scuole elementari).
Non c'è più in questi nuovi orizzonti western l'eroicità ben definita e "positiva", contro indiani e alla conquista di terre per un futuro magniloquente, la morale scompare, il fatto nudo e crudo è il nucleo, la legge del denaro e delle armi è la sola possibile e travalica le autorità, gli istinti sono in balia di se stessi fino ad abbrutire e alimentare la malvagità degli affamati di potere. Anche il protagonista è giocato sull'ambiguità e sull'ironia: su una base cinica, opportunista e ingannatrice non esita però ad aiutare il prossimo che se lo merita, lui ripaga gli sfruttatori con la loro stessa moneta, non si sottomette, è un giustiziere spietato ma insieme dalla forte sensibilità etica e onesto con gli umili e gli oppressi. Pur chiaramente innamorato di Marisol (M. Koch), lui la ama e la rispetta lasciandola con il proprio marito e il figlioletto, e a sua volta Marisol, che pur ama il legittimo marito, può amare insieme due uomini senza tradire.
Certo i cattivi ben evidenti ci sono, ma non sono caretterizzati in modo convenzionale essendo autenticamente pervertiti nell'animo, o meglio sono bambinoni, adulti rimasti ad un livello interiore infantile ma corrotto, incapaci di saper scegliere perché unilaterali, che siano stupidi o più intelligenti. Basta vedere le ripicche che con un niente esplodono in furia omicida o gli occhi spasmodici dei Rojo (nel massacro dei Baxter, gioco sadico da luna-park come le torture), che esprimono tutto il risentimento vendicativo e orgoglioso nei confronti della vedova-madre che "rimprovera" i "monelli", superstite ancora per pochi secondi.
Il sadismo, la violenza, l'ironia, l'epica e la legge della giungla nel deserto, dove la presenza ecclesiastica è solo sfondo e funzione-finzione sociale, non soffocano però un'autentica commozione o la speranza.
Leone dà nuova linfa con una regia sostenuta e tesa, salda e decisa, capace di fulminei accostamenti di piani lunghi e primissimi piani, con particolari degli occhi o di altre parti del corpo e di oggetti; secchezza di montaggio, inquadrature inusuali, diagonali, alternanza di silenzi, battute incisive e raffiche di proiettili. L'incedere della mdp riflette con esplicita consapevolezza i movimenti, gli sguardi, i pensieri, l'arsura, la solitudine, recita come i fantastici attori, dal semisconosciuto C. Eastwood (una presenza scenica irremovibile e intelligente dalla bellezza rude, asciutta e spigolosa) al diabolico G. M. Volonté, fino agli ottimi comprimari. 8 1/2
Morricone dà il suo contributo fondamentale, senza il quale il film sarebbe stato - nonostante tutto - cosa ben diversa e di minor impatto. Unendo stilemi popolari con una concezione colta, strumenti tradizionali e inusuali, rumori di oggetti (frusta, incudine, ecc.) e suoni onomatopeici o parole, al contrario, ridotte a mera emissione sonora, fino all'uso del fischio - che tra le labbra e la lingua di Alessandro Alessandroni diventa potente e agile strumento musicale di incredibile espessività e varietà -, Morricone scrive una partitura che è il contraltare perfetto dell'immagine di Joe (C. Eastwood), ricca di ritmi, melodie mai sentite che si stampano in testa, atmosfere intrise di tensione, di inesorabilità, di passione anche nei momenti più funzionali. Ciò appunto si sente nei Titoli e nella cavalcata, con un sincrono esplicito in funzione di commento (per usare le terminologie di Sergio Miceli sulla musica da film) che ricalca l'andamento dei cavalli tramite il ritmo dattilico del tamburo e una melodia impetuosa. Memorabile poi il tema caldo e nobile quanto disperato e ansimante della tromba sopra l'affanno degli accordi degli archi nel brano del duello, intitolato proprio Per un pugno di dollari.
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