Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film
Viaggio in Italia, viaggio nel Cinema. Dove lo sguardo cerca ciò che più gli si addice, per completarsi e compenetrarsi con l'ambiente. Gli esseri umani e i loro contesti (Antonioni, Dumont, etc.) qui per la prima volta nascono assieme. In Viaggio in Italia, immortale capostipite di un'intera generazione cinematografica, il momento in cui il Neorealismo si fa Interiorità e l'anima scopre nuovi orizzonti.
L'Italia, Napoli, piccoli fenomeni vulcanici a Pozzuoli (con un fumo che annebbia le certezze), un museo archeologico con statue che prendono vita, catacombe riempite di teschi dimenticati, corpi che vengono riesumati da tempi andati (esprimono il mondo dei protagonisti come lo può esprimere il mostro marino de La dolce vita), una folla acclamante e caotica che occupa la strada e che rivendica la precedenza.
<<Come fanno a credere a queste cose? Sono come bambini>>.
<<I bambini sono felici>>.
Rossellini fa parlare le immagini, amplifica il non detto, studia le pose dei suoi personaggi (caratteristi di gran classe come la Bergman e George Sanders) e decide tutt'a un tratto di cambiare la storia del Cinema, affinché i personaggi assumano di botto un'estensione che è il non plus ultra del cinema dell'interiorità e dell'indifferenza. Il mondo parla se noi lo facciamo parlare, in sé è vuoto, e noi rischiamo di inseguire un vuoto, se lo confermiamo con la distanza emotiva. Viaggio/vagabondaggio, stimoli nuovi e quasi da cartolina che non rappresentano più Ercole, un Satiro, un vecchio cadavere, ma sono pura espressività,
<<tempio dello spirito, non più corpi, ma pure ascetiche immagini>>,
la negazione della corporeità e un inno alla trascendenza (laica, immanente) delle forme, dei significanti, di ciò che sta all'esterno e si confronta in primo piano con la nostra esistenza. Lo sguardo insegue ciò che più gli appartiene, ciò che è più suo, e che può non consolare, ma estendere e "giustificare", in qualche modo, il proprio mood. Anche esteticamente, Viaggio in Italia preannuncia molti vezzi felliniani: quello scorrere leggiadro fra le immagini e le cose, come se si camminasse in avanti ma lo sguardo rimanesse indietro, la sintesi più pura di quello che è il Cinema, e del carattere rivoluzionario che poteva avere a quei tempi simile accorgimento visivo. L'avvicinamento della mdp ai volti delle statue, o la sua penetrazione nei fumi di Pozzuoli, rivelano invece la loro radice espressionistica, dettagli che si fanno "espressione" più esatta e precisa di una sensazione.
Poi però c'è il carattere "classico" di un film del genere, quel compromesso con il passato che non permette ad un film di essere totale rottura, perfetta discontinuità. E qui sta il problema che - a livello soggettivo - (può) limita(re) la forza di Viaggio in Italia. Il processo di scarnificazione dei significanti arriva solo fino a un certo punto, e la perdita di certe certezze (cinematografiche) scompare nella pienezza caratteriale dei personaggi. L'opposto è certo il dubbioso e anticatartico cinema antonioniano, ma anche senza voler arrivare a L'avventura, Rossellini avrebbe potuto creare un compromesso tale da far parlare meno i personaggi e far parlare ancora di più le immagini. Se qualche frase azzeccata diviene fondamentale per la lettura, qualche altra è stiracchiata e tirata per i capelli, come a voler farsi intendere a tutti i costi.
Ma è come trovare il pelo nell'uovo: Viaggio in Italia è un film che fa viaggiare, con la mente, con le emozioni, e la sua visione non può davvero stancare.
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Parlando di Viaggio in Italia dobbiamo necessariamente ritornare agli anni in cui fu concepito. Non so se sarebbe stato possibile fare di più sottraendo ancora qualcosa al parlato perchè già così era talmente ardito e in assoluto anticipo sui tempi,da non essere minimamente compreso non solo dalla critica, ma dall'intero 'establischment colturale qui in Italia (persino sbeffeggiato da qualcuno). La cultura italiana, sviata anche dal pregiudizio ideologico (molto forte in quegli anni) insomma lo stroncò senza concedergli attenuanti (a conferma della nostra arretratezza) e lo "strapazzò" davvero oltre misura e anche l'insuccesso commerciale fu clamoroso. Solo i Cahiers du cinema lo compresero assegnandogli il posto che gli spettava di diritto e riconoscendo in pieno il suo valore e l'importanza (anche seminale) frutto di scelte molto coraggiose e innovative nel suo essere costruito intorno a una sceneggiatura quasi inesistente (Rivette scrisse che "con l'apparizione di Viaggio in Italia tutti i film sono improvvisamente invecchiati di dieci anni"). Si potrebbe dire allora che è stata la pellicola che ha dato origine al cinema moderno. Per Cristina Bragaglia e Fernaldo di Giammatteo, con questo film Rossellini più che in ogni altra sua opera, persegue lo scopo di aggredire la realtà visibile (lo spazio, il tempo, i volti e ciò che essi nascondono) con una brutalità totalmente libera da pregiudizi. La forza è sopratutto nelle immagini, questo è indubbio, ma i tempi non erano sicuramente maturi per sottrarre troppo ai dialoghi (non dimentichiamoci - tanto per fare degli esempi - che quasi un decennio dopo "L'avventura" di Antonioni fu sonoramente fischiato a Cannes e che "L'eclisse" nella lunga sequenza d'apertura suscitava in sala chiassose proteste e sconsiderate battute proprio a causa dell'assenza di parole). Non si può negare che ci siano piccole smagliature (e ovvietà evidenti) proprio nel tessuto narrativo: anche una leggera dose di letterarietà che denuncia la presenza di un romanziere importante come Vitaliano Brancati impegnato insieme al regista nella scrittura dei dialoghi). ma (a mio modesto avviso) niente di così ingombrante da scalfirne la grandezza (e l'importanza) di un andamento visivo che da solo è capace di scandagliare fin nelle pieghe più nascoste della loro anima, il dramma di due esseri umani infelici che non riescono più a comunicare fra loro sconvolti come sono dal contatto con una realtà diversa. In tempi più recenti, quando anche in Italia si cominciò a capirne l'importanza e a rivalutarlo arrivando finalmente a considerarlo un capolavoro, Rondolino ne parò così: "Con Viaggio in Italia Rossellini seppe portare ad un altissimo livello il suo stile limpido, senza fronzoli, tutto aderente alle cose, alla realtà del momento, depurando da ogni incrostazione drammaturgica il contenuto drammatico dell'azione".
Diciamo che dissento parzialmente da Rondolino, ritengo che l'incrostazione drammaturgica sia presente e Rossellini faccia in un certo senso un compromesso, però è indubbia l'importanza mastodontica di questo film, che crea il cinema moderno, tant'è che ho lanciato solo un piccolo appello all'eventuale soggettività di un giudizio di valore di siffatta specie, qual è quello riguardante l'eventuale letterarietà che si ravvisa nei dialoghi. Trovo che in certo cinema del passato (penso soprattutto al cinema d'avanguardia) si siano rotti maggiormente i compromessi con la tradizione, benché sia ben conscio di quanto sia sottile il carattere moderno di 'Viaggio in Italia': niente di meramente o "semplicemente" sperimentale, ma una vera e propria nuova presa di posizione. Insomma non potrei mai negare l'importanza del film (come non potrei mai negare l'importanza di Antonioni, benché non sia propriamente uno dei miei preferiti), solo che ho trovato un carattere quasi più forte e potente in altri Rossellini come 'Europa '51', che paradossalmente invece cede abbastanza alla drammaturgia. Forse quello, che ho apprezzato di più, è meno "sfacciatamente utile" per la Storia del Cinema; per quanto mi riguarda, altrettanto imprescindibile.
Grazie del commento, Valerio!
Grazie a te invece Marco e alla profondità del tuo sguardo!
Consiglio di Rossellini anche Dov'è la libertà protagonista Totò
Vedrò di certo, antonio, Rossellini merita di essere recuperato tutto!
Ne ha parlato bene anche Martin Scorsese di “Viaggio in Italia”.
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