Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film
No longer bodies but pure ascetic images...
Uno tra i risultati più alti del cinema neorealista; attendevo almeno un altro capolavoro rosselliniano del livello di Germania anno zero, ed eccolo arrivato. Gli intenti neorealisti di pulizia e disidratazione delle immagini vengono qui applicati rigorosamente. Rispetto al capolavoro tedesco di Rossellini, questa pellicola conserva ancora una parvenza di struttura drammaturgica, tuttavia, diversamente da Roma città aperta e Europa 51 (film a mio avviso ancora troppo convenzionali e nei quali la purezza cristallina è ancora ben lungi dall’essere raggiunta), è completamente sfilacciata e asservita al vero corpus visivo del film, situato altrove. Il flebile accenno al melodramma sembra, almeno parzialmente, contenere sfumature metacinematografiche perché mostra la collisione tra due mondi antitetici (hollywoodiano classico e neorealista) annunciando la crisi del primo dei due. Il cinema classico non si riprenderà più da quello smacco estetico e morale che è stato il neorealismo, tant’è che tutta la cinematografia a seguire, fino ai giorni nostri, è costretta a fare i conti con la grande rivoluzione del linguaggio sorta in quegli anni storicamente difficili e macabri. La collisione non è però solo estetica ma anche sociale: seguire la crisi matrimoniale di Ingrid Bergman e George Sanders significa non solo assistere al crollo di un certo modo di fare cinema, ma anche alla fine dei valori di un’aristocrazia autistica, ipocrita e completamente autoriferita. Lo scenario italico, infatti, con la popolazione proletaria che lo abita, costituisce la miccia per quella crisi bifronte. Viaggio in Italia è volutamente un titolo riduttivo; i due protagonisti compiono infatti un viaggio che è al contempo esistenziale e spirituale: i paesaggi naturali dell’Italia, che conservano le ombre di un passato sinistro il cui momento dialettico preponderante è quello della morte, espongono i corpi e i pensieri dei personaggi alla contingenza e alla finitezza. Osservare le immagini sulfuree, spigolose e abbacinanti della natura conduce infatti ad una messa in questione dello status ontologico del reale; lo spettatore, insieme con i personaggi, è chiamato ad intraprendere uno scavo archeologico interiore che, partenendo dall’esteriorità formale dell’arte statuaria e passando per gli strati sotterranei del passato storico dei luoghi, approda infine al grado zero del visibile. L’archeologia tutta interiore del film mette a nudo i personaggi, ne porta in luce la fragilità, espone corpi e pensieri a quella forza corrosiva che altro non è se non il ritmo ipnotico del tempo. Tuttavia l’ultima parola non è quella della morte : una volta condotti ad assaporare l’orlo dell’esistenza e ad operare una geologia dei fenomeni, Rossellini sembra redimerci da questa allucinazione e collocarci in un al di qua extratemporale, dove quella gravità che si è sperimentata in precedenza si converte in evanescenza rassicurante e salvifica e dove il ritmo dei processi causali si rivela essere l’altra faccia della cadenza eterna di Dio. Non si ha a che fare con una forma al di là della materia, ma con un’eternità immanente al tempo e alla storia.
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