Regia di Aldo Lado vedi scheda film
Scult totale, senza vergogna, tipico di quell'ondata di produzioni erotico-soft tanto in voga negli anni '80, che lanciarono filoni ed interpreti brillanti di una luce abbagliante forse, ma anche assai effimera, destinata a ricacciarli nel buio dell'anonimato dal quale provenivano.
Aldo Lado, a volte grande e talentuoso, specie nel genere horror-noir, si lascia imbrigliare in una vicenda risibile, ma proprio per questo morbosamente attraente, soprattutto se vista oggi, fuori tempo massimo, fuori moda, come spiando un altro pianeta.
La disgregazione inesorabile di un rapporto di coppia composto da due giovani e bei individui: intelligente ed impegnato lui, attraente, direi splendida ma annoiata lei, costretta a seguirlo tra le dune e i venti caldi nordafricani; la deriva di un rapporto tra un giovane ingegnere giunto dalla Francia in Marocco (o Tunisia) per verificare la possibilità di installare un pozzo petrolifero in una zona desertica che pare avere le caratteristiche per contenere il prezioso minerale, e la di lui splendida moglie che non sa adattarsi all'attesa senza far nulla; inquieta, curiosa, provocatrice non sempre in modo inconsapevole quest'ultima, annoiata in cerca di emozioni, che cerca ogni presupposto per far valere una presunta passione per la fotografia, ma che finisce ogni volta “in pasto” ad avventurieri, ovviamente irretiti dalle grazie sopraffine da splendida creatura che una natura benigna le ha regalato, dotandola di un corpo davvero scultoreo che risulta impossibile possa passare inosservato.
Gianluigi "Jimmy" Ghione e Fiona Gelin in una scena "a pronta presa"
I crucci dell'ingegnere, a cui nessuno ormai crede nella sua ostinata ricerca del petrolio tra quelle sabbie, si antepongono alle avventure sempre più arrischiate della ingenua, stralunata moglie, che finisce pure per essere ricattata da un avvenente barista che la seduce assieme al suo fido cameriere, o spintonata ed inseguita in modo minaccioso da una affascinante guida turistica arrapata (è il mascellone d'un Jimmy Ghione, quello di Striscia la notizia, eheh...no comment) che la possiede sul dorso di un equino (!?!).
Insomma una follia irresistibile, scandita da dialoghi al limite del comico involontario, come quando, nel deserto, la coppia di coniugi scorge una jeep incidentata e alcune donne mendicanti che rovistano tra i rottami: una di esse raccoglie uno specchietto tutto rotto, si guarda il volto un attimo e poi lo getta via. Il marito ribatte; “Beh almeno quello poteva tenerselo” e la moglie, seria e sguardo riflessivo nel vuoto: “E' orribile quando incontri solo la metà della tua faccia”.
Una moglie che giura di amare il marito e poi passa tutto il giorno a sollazzarsi con aitanti abitanti locali e non; il marito inetto che in realtà la fa seguire, ma non per coglierla in flagrante, bensì per proteggerla. Poi il caldo dello scirocco che asciuga e rende arsa la sabbia di quei deserti, finisce per non bastare più e quando la coppia è costretta a tornare a Parigi quell'equilibrio malfermo ma funzionale finisce per cedere e mandare a monte una storia già agli sgoccioli.
Enzo Decaro, alla deriva dopo lo scioglimento della Smorfia e prima di divenire un divo tv piuttosto affermato, tenta senza successo la via del cinema. Fiona Gelin ha un fisico statuario pressoché ineguagliato, una pelle e lineamenti da giustificare i turbamenti che procura in terra straniera.
Musica questo scempio divertente (se visto con l'ironia del caso) Pino Donaggio, autore pure della canzone che traina la pellicola, una motivo da discodance in pieno stile '80 dal titolo Burning wind, cantata dalla notissima (?) ed imprescindibile Joniece Jamison.
Un film tanto brutto da suscitare quell'interesse morboso in grado di farcelo seguire dall'inizio alla fine, riportandoci con spensieratezza al finto pudore, alla maliziosa ventata di voyeurismo, alla leggerezza e all'inconsistenza di quel decennio spensierato e un po' vuoto dove tutto, amore , soldi e successo, pareva a portata di mano pronto ad essere afferrato.
E comunque pur sempre meglio di “fake” contemporanei ed inaccettabili come “50 sfumature di grigio”: per lo meno qui il tempo, magari involontariamente, ha lasciato il suo segno ed il film di Lado diviene lo specchio di un'epoca fatua ed inebriante di cui tutti o quasi oggi, in qualche modo, ne paghiamo immeritatamente le conseguenze.
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